Si
è svolta la “lectio magistralis” di Cacciari a Caserta per la presentazione
del suo scritto “Re Lear: padri, eredi, figli”
a. Si è svolta il 1 ottobre, nel Teatro
comunale di Caserta, la lectio
magistralis di M. Cacciari sul suo ultimo lavoro Re Lear: padri, figli, eredi, Edizioni Saletta dell’Uva, Caserta
2015. La lectio si è svolta per l’inizio
dell’anno accademico del locale Istituto di Scienze religiose ed alla presenza
delle autorità locali e sotto il patrocinio sia del vescovo di Caserta D’Alise
che del vescovo emerito Nogaro. Ha presentato l’incontro don Nicola Lombardi,
rettore del locale Istituto, che ha ripercorso in breve il decennale impegno di
Cacciari per questi incontri casertani. Tra l’altro, è stata l’occasione per
dare notizia del recentissimo scritto di Nogaro, già disponibile per questa
stessa occasione, intitolato Grazie
Cacciari, Saletta dell’Uva 2015.
Sulla tragedia
di Shakespeare Re Lear si dirà qualche breve cenno: infatti non è quest’ultima
interpretata da Cacciari come testo letterario e basta, ma, invece, come mythos, come una figura archetipica che
fa parte della civiltà occidentale assieme ad altre figure che sempre
ritornano: Amleto, per rimanere a Shakespeare, oppure Ulisse. Il “mito” è una
realtà meta-storica, non anti-storica ma oltre la storia.
Di che cosa,
dunque, Re Lear è “mito”? Di un’ apokàlypsis,
vale a dire una revelatio, ma priva -
come sempre in Shakespeare - di una
redenzione finale, “come se Cristo non fosse”, dice Cacciari; il che accade
sempre in Shakespeare. Ricordandoci la storia, l’epoca in cui Shakespeare
scrisse è quella delle sanguinose guerre di religione, è quella dell’assenza del “re”, di
colui che sa regere, ovvero, nella
situazione dell’epoca, incapace di reggere la situazione. Lear è un re folle, sia politicamente che
teologicamente, e torniamo alle tematiche politico-teologiche sempre
frequentate da Cacciari. Lear è folle politicamente perché, dividendo le sue
terre tra le figlie, pretende comunque di mantenere il controllo del suo regno,
ed è folle teologicamente perché pretende di vivere nel mondo antico, dove la patria potestas assicurava l’ auctoritas in maniera “naturale”.
Con l’avvento del Figlio e dell’ “Età del Figlio” - Cacciari non lo nomina ma in filigrana si vede Gioacchino da Fiore e le sue “tre Età”, il Gioacchino “di profetico spirito dotato” (Dante) - non si dà più una regalità o un potere politico (una potestas) valida in quanto tale e che non debba fornire un qualcosa in cambio per riceverne consenso. In una parola: non vi è più potestas “naturale”. L’evo antico del Padre è terminato, può piacere o non e ci son ancor oggi son troppi “nostalgici”, ma così è.
Con l’avvento del Figlio e dell’ “Età del Figlio” - Cacciari non lo nomina ma in filigrana si vede Gioacchino da Fiore e le sue “tre Età”, il Gioacchino “di profetico spirito dotato” (Dante) - non si dà più una regalità o un potere politico (una potestas) valida in quanto tale e che non debba fornire un qualcosa in cambio per riceverne consenso. In una parola: non vi è più potestas “naturale”. L’evo antico del Padre è terminato, può piacere o non e ci son ancor oggi son troppi “nostalgici”, ma così è.
Ed allora il
ruolo delle figlie è emblematico: nel dramma shakespeareano tutto è eccesso, anche
i “buoni” son così eccessivi da far perdere di vista ogni misura, e tutti
corrono alla fine, al momento finale ed “apocalittico” nel senso comune, privo
di ogni redenzione. E qui Cacciari afferma che lo scopo di Shakespeare è
proprio quello di presentare le cose in modo crudo, talvolta persino quasi crudele,
per spingere a fare il “salto” ed “andar oltre”. Il figlio, come figura, o
rinnega il padre, e quindi solo la morte del padre lo rende erede, oppure si
spinge verso la ribellione, ed allora è divisivo rispetto ad altri fratelli: il
parricidio porta necessariamente al fratricidio, come ci hanno abituato le
varie rivoluzioni storiche.
Nelle figure del
padre che pretende sempre di mantenere il controllo, del figlio che si pretende
novità a ripetizione pur non essendolo, e della figura del ribelle senza scopo,
tutti i presenti han riconosciuto figure dell’attualità più stretta.
Ora, due vie si
stagliano nell’ “Età del Figlio”: o si rinnega il Padre, la ribellione, o si
eredita solo cose morte: la prima strada; o la seconda strada: il Figlio che si
fa davvero erede, si sa “orfano” e
conseguentemente “continua in forma diversa” l’ “eredità” paterna. Qui è palese
il riferimento al concetto di “tradizione”, e che solo essendo consapevoli del retaggio comune - = eredità - si può evitare il fratricidio del bellum civile, che altro
non è, argomenta Cacciari, che l’oblio di tale retaggio, ovvero di questa
eredità commune. La ribellione
distrugge la communitas, insomma. L’infedeltà
altera l’eredità. La pretesa di novità, infine, la nega.
Sola soluzione,
per Cacciari è, in primo luogo, esser consapevoli della crudezza della situazione, senza
belletti, senza mezzi termini, quelli cui troppo spesso e troppe volte ci si dà, peggiorando le cose, non certo migliorandole, ed aiutando sottozero a trovare una soluzione - quest’ultima, infatti, potrà nascere se e solo se si basi sulla
realtà effettiva, non su quadri
ormai passati, aggiungerei. Secondo
punto: esser consapevoli che l’Età del Figlio implica l’esser erede consapevole
o la sostituzione ed annullamento del Padre: la teologia della cosiddetta
“morte di Dio” non nasce con Nietzsche, argomenta giustamente Cacciari, ma è
già presente in Hegel. Personalmente aggiungerei anche da prima: Kierkegaard
per esempio, certe sue pagine possono portare ad un tal esito. Ma, in definitiva,
è una possibilità inserita già sin dentro all’Età del Figlio.
Ci son poi state
molte domande interessanti, che hanno aiutato il conferenziere a chiarire il
suo pensiero, e su qualcuna di tali domande si dirà in seguito.
Detto così in
breve dell’incontro, si possono svolgere molte considerazioni, per esempio
Augusto è Pater Patriae - nel senso antico di “pater” che non è meramente “genitor”
-; in altre parole, la sua auctoritas
è “naturale”. E Costantino? E’ più padre che figlio? Probabilmente è un misto, si pone, non casualmente tra l’altro,
tra le due epoche. Egli è l’ erede di suo padre, in realtà, ed insieme porta la
sua eredità oltre. Di fatto, è molto più legato al padre come attività, ma, di
nuovo non casualmente, la posteriore tradizione cristiana n’esalterà la madre e
ne oblierà il padre, Costanzo Cloro, invece storicamente decisivo.
Il riferimento
all’Età del Figlio, lo si è detto, è indirettamente un riferimento a Giocacchino
da Fiore, ma è invece, più esplicitamente, Ernst Jünger, di cui ben si sa che
Cacciari sia stato estimatore. E precisamente il riferimento è al libro di
Jünger Al Muro del tempo, Adelphi
edizioni, Milano 2000, dove Jünger ripresenta, nella prima parte, un suo
vecchio scritto sull’astrologia, e, nella seconda parte, rielabora certi temi
in un affresco davvero memorabile. Jünger
insisteva sull’Età del Figlio e sulla fine dei padri anche, se non soprattutto,
in politica - e si è già detto di come Re
Lear sia un dramma politico, o teologico-politico. I passi che potrebbero
esser presentati sarebbero tanti, ma se ne sceglie uno, anche se piuttosto
lungo:
“A un esame più approfondito certe coincidenze non possono tuttavia sfuggirci. Abbiamo ricollegato l’ideale dell’uomo nordico all’età ènea [del bronzo, cioè], definizione mitica del periodo che lo storico chiama età del bronzo. E’ l’epoca in cui il mito divenne realtà dominante, l’epoca in cui il mito determina azione e pensiero dell’uomo. Questa realtà permane incrollabile nel ricordo [corsivi miei], nei canti omerici e nelle saghe, ma di essa non si dà replica sul piano politico [corsivi miei]. Non è un caso che i modelli delle potenze sconfitte nella seconda guerra mondiale provenissero dall’età del bronzo o dalla prima età del ferro [corsivi miei]: l’uomo nordico, l’antico romano, il samurai giapponese. Che non avessero possibilità di vincere corrisponde alla fondamentale legge [corsivi miei] secondo cui il mito non può venire riattivato: può squarciare come un’eruzione vulcanica la volta della storia, ma non può dar vita a un clima universale [corsivi miei]. Questa fondamentale legge dà conto di numerose osservazioni specifiche, ad esempio che la guerra non possa più essere condotta tra popoli e da re, e neppure secondo le regole del duello. Essa perde così il suo ethos mitico-eroico, mentre permangono tratti distintivi più profondi, come la dedizione e il dolore. Questa legge spiega altresì perché il detentore eroico del potere abbia cessato di esser credibile in quanto guida e in quanto padre [corsivi miei]. Come già nel caso di Napoleone, questi deve presentarsi sotto spoglie di dux, di colui che libera energie. Suo modello è l’eterno giovinetto del tempo mitico [corsivi miei]. Perciò non può invecchiare [corsivi miei]” (E. Jünger, Al Muro del tempo, Adelphi edizioni, Milano 2000, pp. 106-107) [1].
“A un esame più approfondito certe coincidenze non possono tuttavia sfuggirci. Abbiamo ricollegato l’ideale dell’uomo nordico all’età ènea [del bronzo, cioè], definizione mitica del periodo che lo storico chiama età del bronzo. E’ l’epoca in cui il mito divenne realtà dominante, l’epoca in cui il mito determina azione e pensiero dell’uomo. Questa realtà permane incrollabile nel ricordo [corsivi miei], nei canti omerici e nelle saghe, ma di essa non si dà replica sul piano politico [corsivi miei]. Non è un caso che i modelli delle potenze sconfitte nella seconda guerra mondiale provenissero dall’età del bronzo o dalla prima età del ferro [corsivi miei]: l’uomo nordico, l’antico romano, il samurai giapponese. Che non avessero possibilità di vincere corrisponde alla fondamentale legge [corsivi miei] secondo cui il mito non può venire riattivato: può squarciare come un’eruzione vulcanica la volta della storia, ma non può dar vita a un clima universale [corsivi miei]. Questa fondamentale legge dà conto di numerose osservazioni specifiche, ad esempio che la guerra non possa più essere condotta tra popoli e da re, e neppure secondo le regole del duello. Essa perde così il suo ethos mitico-eroico, mentre permangono tratti distintivi più profondi, come la dedizione e il dolore. Questa legge spiega altresì perché il detentore eroico del potere abbia cessato di esser credibile in quanto guida e in quanto padre [corsivi miei]. Come già nel caso di Napoleone, questi deve presentarsi sotto spoglie di dux, di colui che libera energie. Suo modello è l’eterno giovinetto del tempo mitico [corsivi miei]. Perciò non può invecchiare [corsivi miei]” (E. Jünger, Al Muro del tempo, Adelphi edizioni, Milano 2000, pp. 106-107) [1].
b. Veniamo alle domande, di cui si dà
conto solo episodicamente ed in relazione al fatto che possano esser
interessanti. In una parola: si sceglie fra di esse, come sempre, del resto. Ogni
azione è scelta. Ovvero decisione, vale a dire krisis, la “scelta”, evocata da Cacciari direttamente al riguardo dei due esiti contradditori ma perennemente
possibili presenti ab initio nell’Età
del Figlio “in quanto tale”.
Tra le domande,
dunque, non scelgo quella in cui un presente all’incontro chiedeva a Cacciari
del fatto che sempre lui lasciava una speranza e stavolta non ne lasciava
nessuna, perché Cacciari ha avuto buon gioco nel rispondergli che in primo
luogo questo è Shakespeare e non Cacciari, e che, in secondo luogo, proprio
questa crudezza lui la trova ottima perché pone la gente di fronte ad un
momento duro che, proprio per questo, non dando facili e scontate “speranzucce
da due soldi”, come oggi accade spessissimo, può propiziare una catarsi, un
“andare oltre” molto necessario.
La prima domanda
ha fatto riferimento a quanto solo accennato da Cacciari nel suo intervento, e
cioè a tò katèchôn oppure ’o katèchôn, neutro o maschile, dell’epistola
paolina 2Ts, ciò o colui che “trattiene”,
trattiene l’Anticristo dal manifestarsi, termine riportato al centro della
riflessione teologico-politica da Carl Schmitt [2]
e di cui Cacciari stesso ha trattato in sintesi nel suo Il potere che trattiene, Adelphi edizioni, Milano 2013, due anni
fa, insomma, e pare assai lontano ma non lo è affatto...
Non vi è più il “catechon”, che “trattiene”
e “regge”, cioè il “re” indipendentemente dalla forma storica, se monarchica o
repubblicana o altre forme miste: una domanda di uno spettatore consentiva a
Cacciari di precisare che si tratta della politica tout court, del governo tout court, del tutto indipendentemente dalla sua specifica forma.
Questa netta e
forte affermazione di Cacciari, peraltro assolutamente realistica, nulla più che realistica
visione dell’effettiva situazione, veniva sottolineata da una domanda che si
strutturava a partire dagli accordi di Bretton Woods del 1944 [3], e da ciò che
i “padri” dell’epoca han costruito, in relazione alla “deriva mondiale” ormai ventennale in cui siamo immersi e direi
sommersi. La domanda accennava anche alle speranze suggerite da papa Francesco
nel suo ultimo discorso all’ONU ed all’emergenza dell’immigrazione.
A parte che l’emergenza
dell’immigrazione, rispondeva Cacciari, nasce dall’aver perso il controllo di
tutta la fascia che va dall’Afghanistan al Marocco [4],
continuava affermando la realtà: che l’ordine
nato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale è finito ormai [5].
Ed aggiungeva che ci vogliono due cose: che i padri non siano ciechi, che cioè non pretendano di avere una potestas senza conoscere i figli, senza sapersi guadagnare il consenso, che insomma non pretendano il consenso senza dar nulla in cambio, e che i figli non pretendano né una ribellione senza basi né di ereditare senza riconoscere una continuità profonda, una traditio insomma. Siamo dove siamo perché vent’anni fa gli USA si sono in effetti pretesi quel padre cieco che Re Lear, di fatto, è nel dramma shakespereano, mentre ogni altra potenza di oggi non sa produrre ordine. Di fatto, aggiungerei, come si vede dagli eventi ultimi della Grande Coalizione contro l’Isis/Isil/Daèsh, ognuno vi entra pressato dagli eventi ma sostanzialmente senza un progetto “commune”, invece sostanzialmente per perseguire i propri interessi, e poi “fa anche qualcosa” per la coalizione.
Ed aggiungeva che ci vogliono due cose: che i padri non siano ciechi, che cioè non pretendano di avere una potestas senza conoscere i figli, senza sapersi guadagnare il consenso, che insomma non pretendano il consenso senza dar nulla in cambio, e che i figli non pretendano né una ribellione senza basi né di ereditare senza riconoscere una continuità profonda, una traditio insomma. Siamo dove siamo perché vent’anni fa gli USA si sono in effetti pretesi quel padre cieco che Re Lear, di fatto, è nel dramma shakespereano, mentre ogni altra potenza di oggi non sa produrre ordine. Di fatto, aggiungerei, come si vede dagli eventi ultimi della Grande Coalizione contro l’Isis/Isil/Daèsh, ognuno vi entra pressato dagli eventi ma sostanzialmente senza un progetto “commune”, invece sostanzialmente per perseguire i propri interessi, e poi “fa anche qualcosa” per la coalizione.
c. Ora, detto tutto ciò, potremmo anche
pensarla diversamente su due punti: 1)
che, secondo Gioacchino da Fiore, all’Età del Figlio, con le sue tremende divisioni,
sarebbe succeduta una Terza Età, nuovamente unitiva e non più divisiva, unitiva
come l’Età del Padre ma senza più la patria potestas:
l’Età dello Spirito Santo, ma qui se ne può solo accennare; 2) che il “mitico” ritorna, e qui mi
ricollego alla risposta di Cacciari all’ultima ed interessante domanda.
Su questo
secondo punto una qualche parolina in più è davvero necessaria, e di ciò subitamente me ne scuso sin d’ora col gentil
lettore (ché so che “il tempo è breve”... for the time is short...).
Il mitico
ritorna sicuramente solo come puer aeternus
e come eruzione vulcanica - spesso “dal basso” -, anche se non necessariamente sempre
dal basso. Più spesso dal basso ritorna il “mitico” là dove la “coltre”
storico-razionale, o pseudo-razionale, copre così completamente il terreno,
blocca così ogni emersione, che non può darsi altra possibilità se non la piena
esplosione. Ed ecco come giungiamo al “mitico che squarcia il terreno della
storia come un’eruzione vulcanica”. Che “ogni potenza oggi non sa produrre
ordine” non vuol dire altro che il katèchon
non c’è più; ma, quando il katèchon
più non c’è, che cos’accade nelle Lettere
paoline? Che l’Anticristo si può
manifestare! Infatti, l’Anticristo potrebbe manifestarsi in qualsiasi momento,
argomentava Paolo, “se non fosse” che c’era la presenza di questo misterioso katèchon, sul quale centinaia di
migliaia di tonnellate d’inchiostro si son depositati su.
Ma questo
“Anticristo che si manifesta” non è più
storia, pone termine alla storia
stessa, cosa perennemente non capita da
quelli che vogliono identificare l’Anticristo con questo o quel personaggio
storico, il che non vuol dire che “l’anticristico” non esista nella storia,
ma vuol semplicemente dire che non si può
identificare un determinato personaggio storico con
l’Anticristo biblico, pur essendoci senza
dubbio una “corrente satanica” nella storia, come sosteneva Guénon, tra
gli altri.
Se ne deve
dedurre che, una volta che il katèchon
sia sparito, la storia termini con un’eruzione del “mitico”, ma un mitico
negativo che squarcia il terreno franoso, fangoso e fragile della storia. Un’eruzione
del genere già la vicenda hitleriana, d’ ispirazione
“anticristica” senza dubbio, anche se di
certo Hitler non era
l’Anticristo biblico - siamo chiari
su questo punto -, ha indiscutibilmente dimostrato come la “ragione” ed il
mondo “razionali” son del tutto incapaci
di arginare o controllare. In una parola: si son dimostrati incapaci di reggere. All’eruzione del mitico dal
basso il mondo storico-razionale si dimostra “al di là di ogni ragionevole
dubbio”, de facto, incapace sia di reggere che a reggere. In una parola: il mondo storico-razionale non è “re”, rex, di tali eruzioni: potremmo star qui
a discuterne a lungo cercando le ragioni di tale fatto, che rimane però tale,
cioè fatto.
Ed i fatti di
questi nostri tempi nuovamente ci dimostrano la farraginosità profonda dei
nostri sistemi “dai piedi d’argilla”, una volta sfidati da una minaccia simile,
ma nient’affatto identica, a quella
nazista. Infatti, le cose cambiano, e come quelli che si aspettavano che gli
eventi della Seconda Guerra mondiale fossero una mera ripetizione di quelli della
Prima rimasero molto ma molto delusi, ora chi si crede che l’attuale Terza
Guerra mondiale “a pezzi” - come l’ha giustamente chiamata papa Francesco - sia
la mera ripetizione della Seconda naviga nei suoi sogni, costruisce perdenti
Linee Maginot, che mai a nulla son servite se non ad attestare la sconfitte
peggiori.
@i
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NOTE
[1] Su questo blog
ci sono molti riferimenti a quanto rimane di quell’età, da “The Horsemen” a
quel che ne scrisse Maraini, tra gli ultimissimi ad esser testimone di qualche ultima
vestigia. Quanto l’uomo contemporaneo balbetta di “identità” o di quei tempi,
si vede la ricostruzione a posteriori e quasi turistica, giochetti: non ha la benché minima né più pallida idea
di che cosa fosse - per davvero
- quel mondo....
[2] Cfr.: https://it.wikipedia.org/wiki/Catechon; e, sul testo citato di Cacciari: http://www.ilnodogordiano.it/?p=8112.
[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Conferenza_di_Bretton_Woods. [*]
[4] Guarda caso, è la fascia delle cosiddette “sette torri del diavolo” di cui su questo blog si ritrova qualche spunto e si son postati qualche link al riguardo.
[5] Vogliamo essere un po’ “borderline”, come dicesi oggi? Bene, basta ricordare la “Profezia del Re del Mondo” riportata da Ossendowski (che avrebbe scritto anche un libro su Lenin) nel suo Uomini, bestie, dèi. Il mistero del Re del Mondo, Mediterranee, Roma 2000, parte finale, dalla quale si deduca che l’ordine nato dalla Seconda Guerra mondiale, ed oggi palesemente saltato, doveva durare fino al 2011...
P. S. Un riferimento a queste tematiche da
Cacciari già trattate e/o accennate lo si può trovare qui: http://lacittadelsale.blogspot.it/2010/10/cacciari-allauditorium-della-provincia.html.
[*] Per chi volesse approfondire i temi
economici, un link su questo blog: http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/09/appendice-al-post-precedente-per-chi.html.
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