Incontro
alla libreria Feltrinelli, Caserta 1 settembre, organizzato dall’Associazione
“Liberalibri”
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Si è svolta alla
Libreria Feltrinelli (Caserta), alle ore 18.00, un incontro dal titolo “San Leucio, l’Archivio di Stato, Beni Culturali: mancanza di
progetto nell’identità scomparsa. Appunti di riflessione”.
Gerardo del
Prete esponeva dei disegni fatti per l’occasione. Presentava il Coordinatore
dell’Associazione Liberalibri Enzo De Rosa, che ricostruiva le ragioni
dell’incontro, andato sorprendentemente bene.
A seguito dell’Introduzione,
e del successivo intervento di Paolo Broccoli, si sviluppava un interessante dibattito, cosa rara in
certi “climi” mentali.
Interveniva anche don
Battista Marello, parroco di San Leucio, che parlava della situazione reale sul
campo e degli interventi e dei tentativi del locale Comitato, ed imprenditori
locali (Traettino e Marzano), oltre che di altri presenti: una rara occasione
di pubblico confronto, che poi era
la vera ragion d’essere dell’incontro
stesso.
Per quel che riguarda l’andamento
concreto dell’incontro si rimanda alle cronache locali (*), qui l’intenzione è
riflettere con prospettive più vaste sull’occasione che San Leucio fornisce e
che va ben oltre Caserta stessa.
Su Caserta è presto detto: non è assolutamente all’altezza di un
luogo come San Leucio, così come delle altre notevoli emergenze culturali locali,
dal Medioevo all’ indimenticabile
stagione della romanità, che qui ha lasciato tracce rilevantissime ma pare non esserci mai stata; che dire poi di
Federico II, dei Longobardi, dei Normanni, degli Angioini, ma gli stessi
Borbone, il Decennio francese, che dire di Vanvitelli (e mi taccio). Insomma ci
sarebbe da sedersi e vivere di rendita.
Ma son tutte cose da
“valorizzare”, sì, ma non meramente in termini pecuniari, come si fa da
sempre a Caserta, con risultati pessimi, eh sì, pessimi, non solo da parte dei politicanti espressione di una
borghesia asfittica, perennemente priva di una qualsiasi progetto e
sempre ultima ruota di scorta, per di più bucata, ma pure da parte di una
classe imprenditoriale che ha fallito miseramente.
Durante l’incontro c’è chi ha
evocato la “Brianza del Sud”, e viene da ridere a questo nome: vero, verissimo
che a Caserta – ma, in Campania, non è certo l’unico posto così - abbiano il
“pallino” dell’imprenditorialità, ma son così slegati da qualsiasi “cultura
territoriale” che i risultati sono
molto ma molto scarsi. Non mai verrà
per il capo ad un imprenditore locale che il valore dei beni è quello che diamo loro, è quello conferito. Nessuno farà mai qualcosa per
qualcosa di cui non ri-conosce il valore, e non ne ri-conosce il valore non solo perché “nessuno glielo ha mai detto”
(anche per questo), ma perché la sua identità non “riconosce” quei luoghi come “fondanti”, lui “non è” lì. Quelle
emergenze si trovano in quel territorio ma “slegate” dagli abitanti, e
viceversa.
Nel corso del suo intervento,
Paolo Broccoli non ha mancato di ricordare come Napoli sia fondamentale per
Caserta, il che è verissimo essendo il caso Caserta quello tipico di una
città-satellite, ma il problema rimane quello dell’ “identità” casertana. Per
quanto siano senza dubbio grossi i difetti di Napoli, il problema dell’identità
di Caserta è di Caserta, la quale non
riesce a competere non certo con città di un ordine di grandezza con il quale
non può avere a che fare, ma con città dello stesso ordine di grandezza, per
esempio Aversa.
Facciamo un esempio per
capirci: Versailles e Parigi, è un rapporto molto simile a quello fra Caserta e
Napoli, molto simile. Bene, se vedo Versailles vedo una città che, ovviamente,
non ha alcun interesse di competere con Parigi, ma che tuttavia possiede un suo
proprium, un suo “pedigree”, una sua caratteristica identità. Quando vedo
Caserta mi chiedo: che identità ha?
Attorno a cosa coagula la sua natura? E la risposta è molto ma molto
difficile: ha un’identità sfuggente, abbozzata, parziale, incompleta, è una “urbs”
che con grosse difficoltà riesce a diventar davvero “civitas”, un “paesone”,
come ce ne sono molti (non è certo l’unico caso, peccato però che ci sia la
Reggia e tante altre cose…), con le classiche lotte intestine “da paese” e che
non riesce mai a diventare “massa critica” per ottenere dei risultati
effettivi. Non stupiscono, allora, le perenni vicissitudini negative delle
quali l’ultima è quella della “Terra dei fuochi”, che in effetti ingloba anche
una grossa parte del napoletano (ma rimane “bollata” significativamente quasi
alla sola Provincia di Caserta).
Detto questo come
introduzione al problema, veniamo all’intervento di Paolo Broccoli e dei
molteplici spunti proposti.
Come prima cosa, l’incontro
non è “politico” in nessun senso, salvo “politica” la s’intenda nel senso antico,
e cioè come occasione di dibattito pubblico, il che dà legittimità ad un gruppo di cittadini di proporre un tema di
discussione essendo - e rimanendo -
solo e soltanto semplici cittadini,
con l’aiuto di una semplice Associazione che abbia funzioni organizzative, e di
un luogo d’incontro: nulla di più, nulla di meno. Che, poi, questa pubblica
discussione sia “il sale” della democrazia, lo si dimentica praticamente sempre oggi, dove la democrazia è una
“tecnica di votazione”, in poche parole. La franca discussione, tra le altre
cose, è precisamente il significato
della “parrhesìa” evangelica, e non dimentichiamoci che “ekklêsìa” in origine
non era altro che “assemblea”: l’assemblea dei “credenti”, prima che la
“gerarchia” dei ceti dirigenti romani entrasse con forza nella Chiesa cristiana
rendendola quel che, storicamente, poi è stata effettivamente.
Il fulcro del suo intervento è
stato l’assenza di progettualità, non solo sulla specifica questione in esame,
riguardante i Beni Culturali in oggetto. Quest’assenza di progetto e di una
visione di più lungo periodo nasce dalla chiusura, come per l’Ulisse dantesco
(**), dell’orizzonte “delle” modernità nel solo ridottissimo sguardo monco
della dittatura del “mercato”. Secondo lui, in Italia la politica è sempre più
schiacciata sull’immediato, in un mondo in cui le prospettive si restringono o
sono già sparite. Il punto decisivo, aggiunge, è che nello “schiacciamento
sull’immediato” l’uomo contemporaneo non si sente parte di una “tradizione”, ha
tagliato ogni legame reale col
passato, che, al massimo, è un contenitore, o mero “turismo”. Questo rende
fatalmente le “prospettive” semplicemente non sussistenti. Vi è poi, in questa
parte della Campania, in modo specifico, una caratteristica incapacità di mettere la struttura museale
interessante di questa zona in rete comune.
Manca “l’amicizia”, continua,
nel senso di Toqueville (***), che, a sua volta, usava tal termine nel senso
antico: una pòlis che non avesse
“amicitia” (ovvero Concordia, che è
l’opposto di Discordia-Eris (****)) è destinata a fallire o a
rimanere un’ urbs che non diventa civitas. Quando la Discordia
vinceva in una pòlis, per quest’ultima
si verificava uno “scisma nel corpo sociale” (per dirla con Toynbee) ed era il
segnale della fine della stessa pòlis,
che, presto, sarebbe stata conquistata dall’esterno o sarebbe stata prima o poi
abbandonata per altri lidi o luoghi. Questa è la via, per una città dai grossi
problemi d’identità, una città che, ovviamente,
non può certo essere una grande città, ma non riesce nemmeno ad esser quel che
può effettivamente davvero essere. Sicuramente,
con Napoli così vicino, Caserta è una “variante” di cose “napulitane”, e non potrebbe essere diversamente per ovvi motivi geografici, con in più
delle altre cose “miste”, nessuna delle quali, però, davvero integrata in una sintesi che produca una
fisionomia precisa o anche soltanto una fisionomia “eclettica”, forse più
adatta al luogo “mercuriale” che Caserta poi è. Questo si può evincere anche dall’etimo
latino-longobardo del nome “Caserta” = casa
(radice latina) più hirt/hert/herd
(radice germanica), il che rimanda ad un luogo dove si conservavano le greggi e, poi, per estensione di significato, un
“mercato” ed un luogo di transito. La natura profonda del luogo questa è e
questa rimane, ma evidentemente un
“qualcosa” è intervenuto che ha bloccato il processo di pieno passaggio da urbs a civitas.
Tema “ultimo ma non ultimo” (last but not least), il tema dell’ utopia, che ha costellato il Novecento
nei vari tentativi – comunisti, fascisti, nazionalisti, nazisti – d’
“inveramento” dell’utopia stessa. Dopo aver puntualizzato che “l’intellettuale”
– “gramscianamente” – non può darsi senza un riferimento sociale ad un gruppo preciso ed interessi specifici, Broccoli ribadisce che il
tentativo comunista è chiuso e finito, fa parte della storia. Rimane il
problema, gigantesco, delle prospettive su di un livello più vasto.
Qui discutere di San Leucio tornerebbe utile come “spunto” ed occasione, al di là dei problemi “identitari”, che ovviamente ci sono e che
nel dibattito l’han fatta da padrone, mentre il tema generale è stato compresso
soltanto all’inizio degli interventi della serata. Lo stesso Broccoli puntualizzava
che, sebbene gli studi sull’architettura di San Leucio siano stati tanti e profondi ed ha ricordato il suo importante contributo
all’organizzazione della Mostra del 1984 a San Leucio – proprio la tematica
dell’utopia è stata relegata ai margini e, chissà come, la cosa non stupisce affatto. Infatti un tale
“relegare” una tale tematica “ai margini” è
perfettamente conforme alle tendenze dominanti la “nostra” epoca.
A mio avviso, invece, trattare
le tematiche generali è la giusta direzione, senza dimenticare i problemi pratici, ovviamente. Oggi si pensa che
i problemi pratici debbano star lontani dai quadri di rifermento generale, per
non disturbare l’assoluta predominanza del quadro imposto al mondo.
Quel che segue è solo una
serie di spunti riguardo al tema
generale che sta “sottotraccia” ed insieme “oltre” la tematica di San Leucio.
Dove si ricollega San Leucio alla vicenda globale che stiamo
vivendo (la
vicenda globale è questa: l’implosione
sistemica del capitalismo). San
Leucio è una “comunità utopistica” di produzione formata dall’ “assolutismo
illuminato”, che cos’è l’assolutismo illuminato: il tentativo, da parte di
alcune corone europee, di dominare lo sviluppo economico-tecnologico che il
capitalismo è. La grande piazza antistante
la Reggia “che sta” a Caserta, detta “i Campetti”, ma che erano Campo di Marte
o Piazza d’Arme, la più grande d’Italia (fuori San Pietro, che è Città del
Vaticano) e tra le più grandi d’Europa, ha un messaggio come piazza S. Pietro a
Roma. A Roma, città dove Vanvitelli ha lungamente lavorato, il messaggio è che
la Chiesa abbraccia tutti. Alla Reggia detta “di” Caserta, ma separata
psicologicamente dalla città, doveva essere che la monarchia “illuminata”
abbraccia il progetto di “sviluppo economico-tecnico” delle borghesie.
Significativamente, la piazza è incompleta sin dall’inizio, e poi vari
interventi hanno peggiorato la cosa: la monarchia non poteva guidare il
progetto borghese, progetto peraltro molto fallimentare
nel Sud (ulteriore paradosso).
San Leucio, quindi, si trova all’inizio della vicenda della
modernità e del capitalismo, vicenda della quale oggi stiamo vedendo le battute finali (sviluppare questo punto ci
porterebbe troppo lontano ma vi sono molteplici spunti in questo blog, in
particolare negli ultimi post, che hanno come spunto la crisi ultima, di
quest’anno s’intende). Questo è il significato di San Leucio.
Se non abbiamo la consapevolezza, profonda, di questa vicenda che si conchiude, di un fil rouge che passa per eventi e luoghi
ed epoche, facciamo aria fritta.
Interrogativi profondi tutto
ciò suscita in noi, questa vicenda, vista come un percorso unitario pur
unitario non essendolo affatto.
Vi era “un’altra” modernità
possibile? Non lo sappiamo.
Vi era un solo esisto
possibile al percorso della modernità? Questo lo sappiamo, i fatti storici stan
lì a dirci che una sola via c’era, di fatto. Se io brucio del legno produco una
certa energia, ma, se dal legno bruciato voglio tornare al legno, ci vorrebbe
un’energia ben maggiore. Questo, se chiude la porta ad ogni “nostalgico”, “orienta”
il processo storico in una direzione precisa e, di conseguenza, quando quel
sistema orientato entra in fase implosiva, impedisce una soluzione al problema
della implosione sistemica.
@ndrea ianniello
NOTE
(*) http://www.ilcasertano.it/di-notte-e-di-giorno/san-leucio-e-archivio-di-stato-incontro-liberalibri-alla-feltrinelli/.
(**) “Infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso” (Dante, Divina Commedia). (“Infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso”, tra l’altro, è anche un articolo Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Infin_che_'l_mar_fu_sovra_noi_richiuso).
(***) Noto autore della Demorazia in America. (Articolo Wikiquote su Toqueville: https://it.wikiquote.org/wiki/Alexis_de_Tocqueville#La_democrazia_in_America).
(****) Cfr. Esiodo, Le opere e i giorni, vv. 10-25.
(**) “Infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso” (Dante, Divina Commedia). (“Infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso”, tra l’altro, è anche un articolo Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Infin_che_'l_mar_fu_sovra_noi_richiuso).
(***) Noto autore della Demorazia in America. (Articolo Wikiquote su Toqueville: https://it.wikiquote.org/wiki/Alexis_de_Tocqueville#La_democrazia_in_America).
(****) Cfr. Esiodo, Le opere e i giorni, vv. 10-25.
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