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La nostra è l’epoca degli “steccati”, come nell’Inghilterra del XVIII secolo, ogni gruppo o gruppuscoli “recinta” lo spazio e vi piazza su la sua debole bandieruola.
L’opera di Guénon è andata incontro ad un simile destino (cfr. un vecchio scritto del 2007 sull’opera di Guénon, scritto: ‘“René Guénon”, articolo del 2007, da una vecchia community’). Tale deviazione spessissime volte si è verificata ed è stata legata alla sua “islamizzazione” (un esempio recente fra i tanti, è il suo uso nell’ultimo libro di Houellebecq: ‘Un secondo passaggio “ideologico” da “Sottomissione”’, recensito qui sotto).
Certamente è vero che c’è un “ecumenismo” dove si ha la famosa “notte in cui tutte le vacche sono nere”, ma vi è anche l’eccesso opposto: quello in cui si è caduti. Molto più facile gestire il primo che il secondo.
Se rompo un oggetto tornare allo stato precedente è difficilissimo, implica un’energia enorme; se invece “annacquo” l’oggetto, talvolta esso lo si può comunque salvare, nonostante le molte corruzioni varie cui può essere andato incontro.
Ora il punto decisivo è: Guénon scriveva i suoi libri in base alla/e sua/e appartenenza/e (si è visto, nell’articolo citato (*) su che ne aveva di **molteplici**)? Questo è decisivo.
La risposta è un secco: No.
Dunque si può interpretare rettamente la sua visione della “Traditio Una” in base alla sua appartenenza finale islamica, presupposta poi come “normativa”, nonostante le chiare parole di Guénon stesso a tal proposito?
La risposta è, nuovamente, un secco: No.
Perché lo si fa?, dunque, verrebbe fatto di chiedere. Perché, nonostante tutte le parole contrarie si dà prova dell’ “esclusivismo” di cui si criticano le varie religioni?
Si criticano a parole, ovviamente...
La vera ragione è che viviamo l’epoca degli “steccati”, in cui ognuno **affetta** un’apertura mentale che non ha per nulla.
Né ha intenzione di avere, ed ecco la “cattiva volontà”, e questo è grave (la gravità sta sempre nella cattiva volontà, il “peccato” è questo, piuttosto che un singolo atto lesivo).
In ogni caso, questa chiusura interpretativa ha alterato nel profondo l’opera di Guénon, che non si è mai basata su di una logica di “appartenenza”, nel suo esprimersi e nel suo prodursi. Questo può aver impressionato negativamente tantissimi, ma è un semplice fatto, “non negoziabile”, salvo alterare profondamente la struttura e la ragion d’essere della stessa opera di Guénon; ciò sia detto qualsiasi cosa si pensi di Guénon, della sua opera e delle sue scelte. Qualsiasi.
Nell’epoca degli “steccati” e dei “distinguo” senza fine, dei personalismi e dei “possessi” presunti degli spazi mentali, della blindatura concettuale nelle proprie “appartenenze” che segue una rivendicazione d’“identità” e di differenza” nel vuoto spinto dell’indifferenza, chi mantiene il senso dell’Unità oltre le differenze, Unità che non nega le differenze - Unità nella diversità e diversità nell’Unità - non può che muoversi verso il futuro. Perché sarà solo da questa via, che non è una mera mescolanza, ma va, invece, nella direzione della “Synthesis finalis”, che si avrà un risultato reale, in luogo “d’integrare, come quasi sempre accade, le acquisizioni stimate definitive con altre della stessa origine” (F. Altheim, fonte qui: “Tre detti interessanti: Federico II, F. Altheim, Paracelso”).
(*) “René Guénon”, articolo del 2007, da una vecchia community.
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