IL “SALVATOR
MUNDI”, UN
PROBABILE DIPINTO DI LEONARDO.
Una breve discussione sulle
forme d’arte,
nell’ambito della
storicamente complessa relazione
fra Teologia ed Arte.
Introduzione.
teologia ed arte oggi
Prendiamo
tutte le chiese del mondo, ed immaginiamo di togliere dal loro
interno ed esterno tutti i dipinti, le statue e tutti gli arredi
artistici. Che cosa ne rimarrebbe? Certo, il valore teologico
rimarrebbe, ma quanto diminuito! Che cosa sarebbe stato, infatti,
l’impatto della Chiesa cristiana sul e nel mondo senza l’aiuto,
indispensabile, dell’arte?
Da
una certa epoca in poi, però, questa relazione si è, se non del
tutto interrotta, quanto meno “inceppata”, come bloccata.
Nell’“autunno del mondo moderno”, che da qualche tempo stiamo
vivendo, si sente la necessità di ripensare
questa relazione, così feconda storicamente ma divenuta sempre più
sterile nel corso degli ultimi due secoli. Il mondo moderno sta,
infatti, decadendo in un crescendo di bruttezza, che fa da
corrispettivo e da pendant
alla sua strutturale mancanza d’equilibrio ed armonia, di bellezza
insomma.
Senza
dubbio, anche qui il Vaticano II ha segnato un punto di svolta. Solo
che, con i tempi lunghi che caratterizzano la storia della Chiesa,
nonostante siano passati ormai cinquant’anni dal Concilio, molti
temi sono ancora lontani dall’essere stati davvero digeriti o
almeno pienamente accettati1.
Due pontefici, nel secolo passato, hanno sentito molto il problema
delle forme d’arte e dell’artista: Paolo VI, nella sua importante
Omelia
del 7 maggio del 1964, e Giovanni Paolo II, nella sua Lettera
agli artisti del
1999. Giovanni Paolo II si era cimentato anche lui in qualche lavoro
artistico, e dunque parlava anche per esperienza personale, ma,
particolarmente in Paolo VI, si percepisce una preoccupazione genuina
e forte per il mondo dell’arte (forse in Giovanni Paolo II vi è
più preoccupazione per l’artista), e la sua Omelia
ha indubbiamente costituito una pietra miliare nel cambiamento di
percezione che la Chiesa ha avuto nei confronti dell’arte moderna2;
senza questa Omelia,
probabilmente Giovanni Paolo II non avrebbe potuto sviluppare appieno
il suo messaggio.
E
tuttavia, questo ripensamento della relazione fra teologia ed arte
non è affatto un compito semplice,
per quanto la sua necessità si senta improrogabile oggi. Come si
leggeva sulle antiche carte geografiche: Hic
sunt leones. Il nodo
di base rimane questo: come
dare uno sguardo sulla realtà di Dio sotto forma d’immagine (Sap
8, 1-5; 7b-8b-9). Il linguaggio dell’immagine è un linguaggio
diverso da quello della parola, però altrettanto
necessario
alla natura umana, ed esprimersi per mezzo delle immagini è un
bisogno incoercibile, presente originariamente nella natura umana
stessa: si vedano a tal proposto i bambini, e quanto per loro sia
necessario disegnare o dipingere. Il bambino parla dopo aver iniziato
a camminare; ma, subito dopo, o nello stesso tempo, il bambino
disegna.
Il
tema stesso della bellezza, per molti motivi, ha sofferto di una
lunga eclissi nel mondo dell’arte, sostituito dal fascino della
sperimentazione linguistica, che però non può sostituire il tema
centrale della bellezza. Più d’uno ha notato che un certo cattivo
gusto è ormai diffusissimo nelle chiese: ma questo è solo l’effetto
finale di una causa remota. Nella natura stessa della bellezza vi è
un elemento che sfugge alla mera dinamica dei sensi, ed è la
consapevolezza di questo fatto
– perché è un fatto, comunque poi lo si giudichi - che oggi
troppo spesso sfugge.
A
complicare il problema, però anche a semplificarlo, vi è il fatto
che l’arte religiosa,
l’arte che ha in se stessa un elemento d’infinito,
è un insieme più
vasto dell’arte
specificamente liturgica ovvero dell’arte che ha una specifica
funzione nella liturgia ecclesiale. L’arte religiosa è diffusa
sotto tutti i cieli e climi, e spesso è la natura a fungere da
“specchio” dell’ineffabile divino. Dio, infatti, è sì
esprimibile con le parole, ma è pure indicibile, è la dimensione
dell’ineffabile, e, nella bellezza, quando essa superi la
dimensione “passionale”, vi è proprio un riflesso della divina
Bellezza3.
La
natura della Bellezza è teandrica, umana e divina insieme, ed è la
Sapienza che, secondo Bulgakov4,
ha un risvolto creato ed increato. Si mantiene così la prospettiva
cristiana, pur nella chiara influenza della prospettiva neoplatonica,
senza però la tendenziale identificazione fra creato ed increato; la
distinzione fra creato ed increato era il punto cui la prospettiva
plotiniana non poteva giungere, inevitabilmente
non poteva, per l’ovvio motivo che il mondo classico non
conosceva il concetto di Creazione. La Bellezza, che è la percezione
di questo qualcosa di trascendente presente nell’immanente, a causa
del fatto che essa fa comunque parte del creato stesso, reca
inevitabilmente in se stessa un lato “kenotico”,
di svuotamento e di allontanamento. In qualche modo, la Bellezza,
segno lontano di salvezza, richiede anch’essa di essere salvata. Ed
è la Seconda Persona della Trinità che, vivendo in Se stessa il
processo di “kènosis”,
e poi risorgendo, salva anche quest’aspetto di Bellezza
specificamente cosmica.
La
situazione attuale questa è: “Dopo gli eccessi ‘teologici’
dell’arte medioevale e quelli ‘immanentistici’ dell’arte
moderna, si è andato determinando un pregnante interrogativo
nell’arte contemporanea: quale idea d’arte si prospetta per il
futuro? Se l’arte bizantina
e medioevale
nascono da un’esperienza trascendente di Dio, quella rinascimentale
da un’esperienza immanente dell’uomo e quella moderna
e contemporanea
da una ‘perdita del centro’, quella nuova, a nostro giudizio, non
può che nascere che da una rinnovata esperienza divino-umana. A
questo riguardo si rivelano molto pertinenti alcune considerazioni
teologiche prospettate dalla dottrina
sofiologica
di N. S. Bulgakov e che noi intendiamo offrire come piste di
orientamento per la presente riflessione”5.
Molto interessante che si necessiti di una “rinnovata esperienza”,
questo appare decisivo in realtà. Punto di partenza, è questo: “Con
l’Incarnazione, il Logos, assumendo la carne umanea, assume anche
la bellezza creaturale, determinando una reciproca comunione
della proprietà
delle due bellezze. Quella divina e quella umana sono
inseparabilmente
e inconfondibilmente
unite senza fondersi e senza perdere la loro autonomia. Esse sono
corrispondenti”6.
Questa “corrispondenza” si mostra sommamente in Cristo, ed è la
Bellezza del “Salvator
mundi”, la cui
interpretazione
leonardesca – il tema è più antico, infatti – qui di seguito si
esaminerà un po’ più da presso. “In Cristo, la Bellezza è
colta nell’inseparabilità e inconfondibilità della duplice forma.
La sua Bellezza divina non si mostra e non viene percepita se non nel
vincolo con quella umana. le due bellezze non si mostrano mai
separatamente o in alternanza, ma sempre nell’inseparabilità ed
inconfondibilità delle due nature. Quella di Cristo è una Bellezza
che si realizza mediante la compenetrazione della divina nell’umana
e dell’umana nella divina, appunto ‘teandricamente’. Ed è
proprio questa pericoresi che rende possibile la divinizzazione della
bellezza umana, di per sé incapace di divinizzarsi”7.
Stabilito
questo quadro generale di riferimento, il ripensare la relazione fra
religione ed arte, a mio avviso, può essere la chiave di volta di un
possibile riavvicinamento
fra l’arte e la teologia. Difatti, è stata propria la relazione
fra religione ed arte che si è incrinata, prima che s’incrinasse
l’arte liturgica vera e propria; ed il perdurare dell’arte
liturgica oggi non riesce a risolvere il problema di fondo. Per
terminare questa breve riflessione su tale tema davvero enorme e
dalle conseguenze vastissime, va sottolineato che una eventuale
riconciliazione, che i tempi attuali richiedono, non può prescindere
dal fatto che l’arte si è resa “autonoma” dalla religione, pur
perdurando senza dubbio il sentimento
religioso nel mondo.
Quindi, quale può essere questa “nuova sintesi” che, tuttavia,
rispetti integralmente ambedue i campi, teologico e religioso: ecco
il tema che inquadra l’intero problema, cui non si pretende certo
di poter qui rispondere, ma solo qui s’intende tratteggiare
brevemente
il problema, in relazione ad un’opera concreta, che è il vero
oggetto del presente elaborato.
Tra
le altre cose, il quadro di riferimento della “sofiologia” può
essere anche un’utile chiave per rileggere la storia dell’arte e
le sue fasi, e ripensarle, sempre in vista di un discorso e di un
obiettivo di riavvicinamento, se non proprio di riconciliazione.
Premesso
tutto ciò, veniamo a discutere brevemente del “Salvator
mundi” di Leonardo.
Ed inevitabilmente a discutere, molto brevemente, del suo autore.
CAPITOLO 1.
IL
“SALVATOR
MUNDI”
Si
tratta di un dipinto, con tecnica ad olio su tavola8,
recentemente scoperto ed attribuito a Leonardo: nel 2011, per
l’esattezza. Si è arrivati all’attribuzione dopo aver pulito un
dipinto conservato in una collezione privata statunitense e che era
giunto, nella collezione privata, dopo una serie di lunghe peripezie
e di passaggi di mano, destino, peraltro, tutt’altro che insolito e
che è capitato a molti dipinti, anche famosi. Questo dipinto era
stato pesantemente coperto ma, pulitolo delle pesanti superfetazioni,
si è scoperto un dipinto sottostante, attribuibile molto
probabilmente allo stesso Leonardo da Vinci, che ne accennò in un
suo appunto. Se ne aveva notizia, dunque, del fatto che si era perso
questo dipinto. Nello stesso 2011 si è svolta alla National Gallery
di Londra una mostra che ha pubblicamente consacrato questo dipinto9.
Per la verità, di tale dipinto si conservava la copia di Wenceslaus
Hollar del 1650, una incisione. Ed effettivamente i due soggetti sono
molto simili, quindi sembrerebbe abbastanza sicura l’attribuzione,
per quanto non si possa escludere l’intervento di qualche discepolo
o imitatore di Leonardo sul “Salvator
mundi”,
nella forma che oggi possediamo. Il soggetto del “Salvator
mundi”,
che è anch’esso un soggetto tradizionale, nella versione
leonardesca esercitò una forte influenza in Nord e Centro Europa,
tant’è che il famoso Autoritratto di Dürer in pratica s’ispira
alla forma di Cristo del “Salvator mundi” leonardesco (o di
scuola leonardesca). In ogni caso, Leonardo avrebbe dipinto il
“Salvator mundi”
abbandonando Milano, dopo la caduta degli Sforza, per riparare in
Francia10.
La caduta di Ludovico il Moro data al 1500, per l’esattezza, quindi
stiamo trattando di un Leonardo tardo, dove, tra l’altro, non si
possono escludere degli interventi di suoi discepoli. Ma siamo nella
fase finale della vita del maestro di Vinci, quando gli s’imponeva
ormai una ritrattazione di tante cose fatte, anche un ritorno alle
origini, ma con spirito diverso. E’ importante sottolineare che
siamo nella fase finale della produzione leonardesca.
CAPITOLO 2.
ASTRATTO
E FIGURATIVO, IN RELAZIONE AL DIPINTO IN ESAME QUI
Il
linguaggio artistico è, storicamente, passato per tre fasi, che però
dobbiamo guardarci come la peste dal periodizzare in fissi stadi di
stampo ottocentesco: piuttosto, tali fasi son compresenti ma la loro
centralità si è modificata storicamente, è “datata”
storicamente, ma son tre modalità espressive artistiche in quanto
tali. Ed esse sono: il simbolico, il figurativo e l’astratto. Son
come tre strati in uno scavo archeologico, per quanto “databili”
nella realtà son compresenti. Non solo ma, ripeto, si tratta più di
una dominanza storicamente determinata piuttosto che di un monopolio
assoluto. Quindi si possono fare opere simboliche ancor oggi, ma è
inevitabile
l’essere influenzati da forte passato figurativo o dal presente
astratto. Si possono fare opere astratte oggi, ma è inevitabile che
vi sia una influenza figurativa, e via dicendo.
L’astratto
è divenuto sempre più centrale, sempre più importante, man mano
che la centralità del figurativo declinava, man mano che le
possibilità espressive del figurativo sembravano non corrispondere
più alle necessità di “rapidità” ed essenzialità dell’epoca
moderna. Ma questo non è stato privo di conseguenze: senza dubbio,
vi è una forte difficoltà di esprimere il religioso, ancor più il
liturgico, per mezzo del linguaggio astratto11.
Si può sostenere, infatti, che ogni linguaggio, simbolico,
figurativo, astratto, ha in effetti una sua propria “qualità”
distintiva ed unica, come una lingua.
Adottando
il punto di vista brevemente ricordato all’inizio di
quest’elaborato, si pone il tema del ripensare
il figurativo, alla luce del percorso: simbolico – figurativo –
astratto.
Il
Rinascimento vide la vittoria dell’arte come armonia puramente
esteriore,
ma sarebbe potuto essere anche diversamente. Se, nel culmine
dell’arte rinascimentale, troviamo echi e riverberi di “altro”,
ciò significherà che è possibile un ripensare il figurativo,
stavolta senza
staccarlo né dal simbolico né dall’astratto,
che fu l’errore “narcisistico” e di auto-rispecchiamento del
Rinascimento12,
“inondandolo” del senso d’infinito. Questo, a sua volta, può
aprire ad un ripensamento anche del liturgico, entro però i limiti
più restrittivi che necessariamente possiede.
Si
potrebbe dire che in un grande artista del Rinascimento, Raffaello
per esempio, la dimensione soggettiva supera quella del dato
oggettivo di fede, che può essere invece al centro di un Cimabue o
di un Giotto, per fare due noti esempi. Leonardo sentiva la necessità
di un aspetto oggettivo, ma lui lo cercava piuttosto nelle scienze,
verso il basso cioè. Se, però, lo stesso Leonardo sentiva la
necessità di un “modello oggettivo” verso l’Alto, che lo
interpellasse e non come modelli estetici esterni, avremmo compiuto
un passo importante nella direzione che qui si cerca di seguire,
quella di un possibile momento di riconciliazione fra teologia ed
arte, ma ricercando nel passato del figurativo le possibili radici di
un “filo” che si è perduto. Va infatti sempre precisato che,
quando un rapporto fra due qualsiasi enti dotati della necessaria
sensibilità per intrattenere il rapporto stesso, si altera, non può
mai esser colpa di uno solo dei due: quindi, nella relazione
storicamente alteratasi fra teologia ed arte, la “colpa” non può
essere solo dell’arte o dell’artista13.
Ovviamente,
se l’artista non
sente la dimensione religiosa,
né possiede cultura
teologica, si vedrà facilmente che ogni riavvicinamento è, in
pratica, impossibile. Da parte teologica, tuttavia, occorrerebbe
guardarsi una volta per tutte, senza tentennamenti, dallo “sminuire”
il linguaggio delle immagini, atteggiamento
che ha contribuito non
poco all’attuale
situazione quasi schizofrenica, per cui possiamo avere delle
posizioni teologicamente ortodosse e ben sostenute e, al tempo
stesso, vivere in un mondo d’immagini così distante da tali
significati. Viviamo infatti in un modo d’immagini irredente, e
tutte le parole del mondo non possono cambiare questo fatto: infatti,
solo delle immagini possono davvero efficacemente opporsi a delle
altre immagini, le parole non bastano. Bisognerebbe che la teologia,
una buona volta, divenisse consapevole anche dei propri limiti
epistemologici e non solo verso l’alto nella dimensione verticale -
perché è palese che le parole ed i discorsi umani mai
potranno pretendere d’esaurire il Mistero divino -, ma limiti
epistemologici nella stessa dimensione umana orizzontale
e che, dunque, la parola va necessariamente
supportata dalle immagini. Ora; senza dubbio, negli ultimi tempi,
come si è già detto, si sente la necessità di un tale
ripensamento, e se ne vedono indizi promettenti, ma il cammino è
lungo, l’opera lenta, le difficoltà innumerevoli. Si diceva un
tempo: ars longa,
vita brevis.
Se
dunque un famosissimo artista del Rinascimento14
ha comunque avuto un volto vòlto verso l’ “Altro”, se ne
dedurrà che una conciliazione è possibile, proprio perché si
sarebbe potuto prendere storicamente un altro sentiero, meno legato
ad una bellezza troppo spesso solo esteriore; e di tale possibile
altro sentiero rimangono tracce sparse. Se così è, conseguentemente
diventa possibile una riconciliazione, che a quell’epoca sfuggì,
nonostante ve ne fossero degli accenni15.
Leonardo
non fu certo solo un “ingegnere”: “Certamente Leonardo non fu
spinto a perseguire le sue ricerche scientifiche da un motivo
d’ordine speculativo. […] Ma è altrettanto evidente che non è
permesso dedurre dal lavoro di un ingegnere militare che egli, una
volta terminato il suo compito, non abbia potuto avere preoccupazioni
di ordine spirituale”16.
Al dipinto Leonardo affidava la carica più “mistica” della sua
opera, che si esprimeva, in un’epoca di massimo fulgore del
figurativo, in maniera simbolica, implicita, per mezzo di gesti, di
posture, di oggetti, o animali e piante. Vulliaud non si nascondeva
la difficoltà del compito interpretativo che si era assunto17,
ma pure osservava: “Nelle epoche creatrici l’arte per l’arte
non esisteva; le Belle Arti erano la materializzazione del Sentimento
e dell’Idea. Ma dopo quei tempi fortunati ci si è limitati […] a
negare questo scopo ai procedimenti plastici o ad imporre dei limiti
al linguaggio figurativo. […] Fino ai giorni che
dovevano terminare
con Leonardo, Michelangelo e Raffaello, la pittura fu traduttrice di
concezioni teologiche o filosofiche. E non possiamo non rimarcare che
la decadenza estetica dati esattamente dall’abbandono del processo
simbolico. Era fatale. Il simbolismo vive in sincronia con il nostro
stato psicologico […], poiché non v’è nessuna cosa nella natura
il cui nome non possa essere ricondotto a idee d’ordine differente.
Diciamo inoltre con […] San Dionigi l’Areopagita, che il
simbolismo è in armonia con la nostra natura e la nostra maniera di
concepire. La stessa opinione fu anche di Sant’Agostino dopo essere
stata di Cicerone. Una cosa evidenziata per via simbolica, diceva il
vescovo d’Ippona, è certamente più espressiva, più convincente
che se la si espone in termini manifesti”18.
Per Vulliaud sembrerebbe, dunque, che il Rinascimento sia stato
un’epoca terminale, finale,
punto interessante questo e che sarebbe da discutersi (ma si andrebbe
oltre i limiti assegnati al presente elaborato).
CAPITOLO
3.
QUALCHE
RIFLESSIONE TEOLOGICA SUL “SALVATOR
MUNDI”
Il
“Salvator Mundi”
è Cristo come Salvatore
Cosmico. Egli è cioè
il Salvatore non certo solo degli uomini, ma di tutto il Cosmo.
Infatti, Gesù disse, non certo casualmente: “Io sono la Luce del
mondo” (Gv,
8, 12), cioè dell’intero Cosmo; non c’è invece scritto: “Io
sono la Luce degli uomini”, poi il resto si arrangi un po’ come
vuole, tanto non fa differenza; invece fa differenza!
Quest’aspetto
in realtà non è affatto una caratteristica del tempo presente, ma
risale alle origini cristiane: Paolo ricorda spesso che la Creazione
stessa ha necessità
di essere salvata; è solo stato pienamente rimesso in luce nel
Concilio Vaticano II, ma questo significa che un tale dipinto, il
“Salvator Mundi”,
viene molto a proposito oggi.
Il
mondo è la palla, splendida davvero, la palla di vetro: quello è il
mondo, e Cristo lo ha in mano secondo una figurazione simbolica che
vedeva la Croce sul globo19.
Il mondo è una palla di vetro, sembra forte ma è fragile, la
Bellezza è la luce che attraversa la palla di vetro, ma il mondo non
sa salvare se stesso: la salvezza viene da una sola cosa, dal fatto
che il mondo-palla di vetro si trova nelle mani di Cristo. Ed è
questo che salva il mondo.
Soprattutto
è il Dio vivente
che si è espresso attraverso al Seconda Persona della Trinità,
Cristo Gesù, che ha “attraversato la morte”, il Dio di Leonardo
è qui evidentemente il Risorto, è Lui il vero ed unico “Salvator
mundi”20;
ed è “unico” non tanto per una osservazione che venga
dall’esterno, ma per un fatto strutturale
alla funzione stessa che si simbolizza ed esprime nel quadro. La
funzione di “unicità” non è un qualcosa che, se fosse tolta dal
quadro, lascerebbe il quadro così com’è, ma è al contrario
essenzialmente collegata con il significato teologico
che lo stesso quadro esprime.
In
tal senso, che vi sia la croce sul globo sarebbe un pleonasmo a
questo punto: non vi è bisogno di questo simbolo - la cui necessità
invece vi sarebbe se non vi fosse nel quadro la figura del Cristo -;
il mondo è già
nelle Sue mani.
La
sfera e Cristo Gesù. Oserei dir di più, questa sfera – bellissima
– ha delle ascendenze anche nei detti e racconti popolari, dove si
dice che il mondo è come una palla di cristallo, ma pure nelle
aureole cristalline21.
Il mondo è come questa palla di vetro, la luce lo attraversa e gli
conferisce bellezza, ma ha pure un suo lato demoniaco (cfr., qui la
nota a pie’ pagina n°21). Quel che lo salva non è la sola
bellezza, che pure ha, e che riflette la bellezza del Cristo, ma il
fatto che il Cristo lo abbia in mano.
La
bellezza si rivela nel suo duplice aspetto, ma è la relazione della
Bellezza con il Cristo che salva il mondo e rende la bellezza del
mondo passibile di una andamento contrario a quello “kenotico”
di allontanamento. E’ dunque possibile un avvicinamento,
quell’avvicinamento che teologia ed arte potrebbero ricercare: nel
loro caso sarebbe non una avvicinamento ma un ri-avvicinamento.
Esso può avvenire solo in Cristo, che permette il divinizzarsi della
bellezza umana.
[Andrea A. Ianniello]
BIBLIOGRAFIA
STUDI:
Mina
Bacci, Leonardo,
“I Maestri del Colore”, Fratelli Fabbri Editore, Milano 1965
Jurgis
Baltrušaitis, Il
Medioevo fantastico. Antichità ed esotismi nell’arte gotica,
Adelphi, Milano 1978
Marco
Carminati,
Leonardo da Vinci, la
Gioconda, Il Sole
24Ore Spa, Milano 2003
Leonardo, architetto e
urbanista, UTET,
Torino Strenna 1963
Leonardo, San
Paolo, Arnoldo Mondadori Arte, Milano 1991
Leonardo
da Vinci, Pensieri
sull’universo, a
cura di Anna Maria Brizio, UTET, Torino 1952
Leonardo
da Vinci, Trattato
della Pittura,
preceduto dalla Vita
di Leonardo di
Giorgio Vasari, Introduzione di Silvia Bordini, Edizione integrale
(ristampa anastatica del vol. 1890, Roma), Newton Compton, Roma 1996
Antonio
Orabona, Il
grandioso Ottocento russo. Filosofi, filosofie, narratori da Puškin
a Razonov, Editrice
Zona, Arezzo 2010 (in copertina errore di stampa: è Rozanov, non
Razonov) [Dostoevskij, Tolstoj, ma soprattutto Solovëv vi è una
presenza importante, e Bulgakov è vicino all’asse
Solovëv-Dostoevskij]
Luigi
Razzano, L’estasi
del bello nella sofiologia di S. N. Bulgakov,
Città Nuova, 2006
Paul
Vulliaud, Il
pensiero esoterico di Leonardo,
Edizioni Mediterranee, Roma 1987
ALTRO:
Luigi
Razzano, Teologia
e Arte in una lettura teandrica della bellezza,
in «Rassegna di Teologia Morale», anno XLVII, luglio-settembre 2006
Luigi
Razzano, Ipotesi
di un’Architettura interreligiosa. Presupposti teologici,
in «Rassegna di Teologia Morale», anno XLVIII, maggio-giugno 2007
FONTI ONLINE:
«Leonardo “Salvator
Mundi”. Martin
Kemp’s This And That», in
http://martinkempsthisandthat.blogspot.it/2011/09/leonardo-salvator-mundi.html
agg. 28/11/2013
«Il dipinto Salvator Mundi di
Leonardo da Vinci ritrovato ed esposto alla National Gallery di
Londra», in
http://www.nanopress.it/cultura/2011/07/27/il-dipinto-salvator-mundi-di-leonardo-da-vinci-ritrovato-ed-esposto-alla-national-gallery-di-londra_P2668415.html
agg. 28/11/2013
«Il Leonardo ritrovato in
America. “Salvator
Mundi”, due
italiani chiamati a pronunciarsi sulla attribuzione. Valutato 200
milioni di dollari, sarà esposto a Londra. Per Marani è autentico,
per Carlo Pedretti, no», in
http://www.corriere.it/cultura/11_luglio_01/panza-ritrovato-il-leonardo-in-america_51827df2-a3d6-11e0-831c-4f5919d97524.shtml
agg. 30/11/2013
«Leonardo, scontro tra gli
esperti. Carlo Pedretti, curatore di una mostra con un altro
“Salvator Mundi”
attribuito a da Vinci, contesta l’autenticità», in
http://www.corriere.it/cultura/11_luglio_04/panza-pedretti-salvator-mundi-non-autentico_2c06eb7c-a650-11e0-89e0-8d6a92cad76e.shtml
agg. 30/11/2013
«The Russian
Spiritual Renaissance of Beginning XX Century and The Journal Put’»,
in
http://www.chebucto.ns.ca/Philosophy/Sui-Generis/Berdyaev/essays/rsr.htm
agg. 19/11/2013
Una immagine, tra le altre, del
“Salvator
Mundi”
cui si riferisce Kemp è al link
https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj0Gx2aROZApGbZVyvGQ5DP3ykG7c_jhH-vEYak_yabJVag02_39srSojC4SyyCDa3p90maTKOPl2T1iVimyCBgxesaDDB6rzNk6eC4fMZ6GIylZaDl3piWcu1qpKEPHUJ-bdhQ-9oPma4q/s1600/Salvator+Mundi+small.jpg
agg. 28/11/2013
«Un nuovo Leonardo?», in
http://storiedellarte.com/2011/07/un-nuovo-leonardo.html
agg. 28/11/2013
NOTE
1
Nondimeno, vi sono tanti spunti
chiari nei Documenti conciliari, in particolare il Sacrosanctum
Concilium (46, 112,
114-116, 118-127, 129); inoltre, Gaudium et
Spes (36b, 53 c, 57c, 59, 62c,d,e).
2
Per esempio, Pio XI pronunciò un
fermo “no” all’arte moderna, e quest’atteggiamento, prima
del Concilio ed ancora nella fase conciliare stessa, era quello
assolutamente dominante. Solo dopo il Concilio tale atteggiamento si
è “smussato”, ma non è mai davvero sparito. Invece, già Pio
XII era invece più aperto: sottolineava come, per esservi arte
religiosa, non era necessario parlare di Dio. Per lui, un’arte che
esprimesse un anelito verso l’Infinito era già
religiosa. Le radici della parziale “svolta” conciliare sono più
profonde, ed anche più insospettabili, di quanto certa
pubblicistica abbia sostenuto, o abbia voluto sottolineare.
3
E su questo si giunge al Mistero: vi è un Mistero
tanto insondabile quanto inesauribile
nel Divino. Tale dimensione si riflette
nelle frasi e nei pensieri dei mistici. Un esempio, fra i tanti che
si potrebbero fare, è Angelo Silesio ne Il
pellegrino cherubino, quando dice che la
rosa fiorisce perché fiorisce, senza un perché. Vi è, nella
bellezza, nonostante la sua dimensione di “allontanamento” e di
“kènosis”, cioè
di svuotamento, dimensioni che pure ci sono e che nessuno può
negare, vi è nella bellezza un elemento di gratuità e di
Misericordia che può venire solo da Dio stesso. Vi è in essa,
nonostante tutti i limiti, un elemento di gratuità e di Dono che
non trova spiegazione nell’utile o nella dimensione “volta ad
uno scopo”, cioè “finalistica”: senz’alcun dubbio un fiore
ha come scopo la
riproduzione, elemento finalistico; ma per quale motivo dev’essere
anche così bello? Gli insetti sono attratti dal profumo, dal
colore, ma dalla forma? Nella muta bellezza delle forme vi è
qualcosa che va al di là dell’utile e dello scopo, del fine
immediato, e che bisogna guardarsi dal voler ridurre o rinchiudere
nelle parole. Per sintetizzare: la Bellezza creata, che è sì un
riflesso di quella
increata, richiama un elemento forte di contemplazione. Dio è Somma
Bellezza, e, nella Sua Bellezza, annulla ogni dolore, ogni bruttura,
perché tale Bellezza non è creata, essa è infinita e parla
dell’Infinito: ma son cose che vanno al di là della capacità
espressiva delle parole. Questo però, forse, dovrebbero pensare
tutti coloro i quali si sentano schiacciati dal lato negativo della
vita: che la Bellezza divina è infinitamente oltre ogni dolore o
limite umani. Questo perché è oltre il creato. Ogni bellezza
creata è per definizione, infatti, limitata, pur portando in se
stessa comunque, nonostante tutto, un elemento d’ineffabile.
Quando
vediamo un quadro mirabile, per quanto ci diamo a spiegarne il
significato, quest’esegesi non ha mai un termine vero, non ha mai
fine. Questo significa che un riflesso dell’infinito è in esso.
Quando questo riflesso diventa cosciente,
abbiamo arte religiosa. Se, poi, si usano determinate
forme religiose specifiche, si ha un’arte liturgica.
4
L. Razzano, L’estasi
del bello nella sofiologia di S. N. Bulgakov,
Città Nuova editrice, Roma 2006, tutto il cap. III (pp. 130-159) è
dedicato alla “sofiologia” ed approfondisce questi temi, qui
ricordati per sommi capi soltanto.
5
L. Razzano, Teologia
e arte. Su una
rilettura teandrica della Bellezza, Rassegna
di Teologia 4, luglio-agosto 2006, anno XLVII, “3. Il punto di
partenza”. La frase “perdita del centro”, che Razzano usa in
senso “nichilistico”, nel campo degli studi artistici è stata
teorizzata ed usata da Hans Sedlmayr, nel libro intitolato, appunto,
La perdita del centro.
6
Ibid., “4. Il principio
incarnativo e redentivo della bellezza”.
7
Ibid.
8
Dimensioni: 66x46 cm.
9
Non è il caso di rifare tutto il
percorso che ha condotto all’attribuzione del dipinto, e le
polemiche che spesso, in tali casi, accompagnano questi
ritrovamenti. Per questo, si rimanda agli articoli di importanti
quotidiano nazionali, citati in Bibliografia.
10
Come si sa, l’ultimo soggiorno
di Leonardo avvenne in Francia. Cfr., Vasari, Vita
di Leonardo, in: Leonardo da Vinci, Trattato
della pittura, Newton
Compton, Roma 1996. Molto bello il “Paragone delle arti” nel
Trattato della pittura,
dove la pittura diventa l’arte suprema, più della poesia e della
scultura. Il Trattato della pittura
è stato l’unico libro effettivamente scritto da Leonardo, e
pensato come tale, in vista di una sua pubblicazione, che però
avvenne solo postuma. Per il resto, Leonardo rimase lo scrittore
“clandestino e diluviale”, disordinato e senza ordine che i
Manoscritti superstiti ci restituiscono, dove un teorema può stare
accanto ad una massima, o ad un appunto di spesa, o ad una ricetta
di pittura, o a schizzi, o ad appunti di anatomia (la “notomia”,
come lui la chiamava). Che scrivesse al contrario nasceva dal fatto
che in effetti era mancino, piuttosto la difficoltà sta nel fatto
che tante parole lui le usava con modalità sue, per esempio il
gruppo fonetico “fl” per lui era “fr”, per dirne una, o ad
arcaismi, come il plurale dei termini che provengono dalla terza
declinazione non fa in “i”, come in italiano moderno, ma rimane
in “e”, secondo l’uso antico: tipo la parte fa “le parte”,
ma non “le parti”.
Come si sa,
in ogni caso Leonardo non ebbe troppo di cui esser soddisfatto da
uomini e situazioni, tranne forse il primo momento fiorentino e la
fase con Ludovico il Moro. Fu senza dubbio solo con Francesco I, in
Francia, che ebbe quel trattamento che gli era mancato per tutta la
vita, cfr., Introduzione di Anna M. Brizio, a: Leonardo da Vinci,
Pensieri
sull’universo,
Utet, Torino 1952, p. 30. Pur con tutti i suoi limiti umani, è
tuttavia vero che Francesco I gli fu sinceramente devoto.
11
Un esempio di resurrezione in
linguaggio astratto potrebbe, per esempio, essere questo: una grande
tela rettangolare dal fondo rosso acceso, simbolo della
Crocifissione, con al centro un quadratino od un rombo nero,
piccolo, simbolo della Tomba; poi, di lato (o anche da sopra), un
fascio di luce azzurro brillante che frange il rosso e tocca in un
punto il rombo nero della tomba.
Altamente
significativo che la Crocifissione sia stato il tema religioso più
trattato nel XX secolo, e fino ad oggi, mentre certamente l’aspetto
di Mistero, come la resurrezione od altri eventi, per esempio
l’Annunciazione, abbiano sollecitato molto meno gli artisti
moderni. In parte la Natività pure ha avuto un suo ruolo, molto
minore, ma effettivo. Un esempio di quest’ultimo fatto è la
Natività di Gauguin (Te tamari no Atua,
1896). In ogni caso, la Crocifissione l’ha fatta da padrone
nell’epoca pienamente moderna, simbolo di una fede difficile, che
si è dovuta confrontare in un tempo di lotte.
12
“C’è infatti un luogo comune
del quale non si sono ancora stancati ed è quello di opporre il
Rinascimento al medio Evo” (P. Vulliaud, Il
pensiero esoterico di Leonardo,
Mediterranee, Roma 1987, p. 98). Forse si potrebbe eccepire sul
termine “esoterico” o almeno si sarebbe dovuto specificarlo
meglio, perché dà troppo spesso l’idea di “occulto” o
“magistico”, ma Vulliaud non parla che del simbolico e
dell’influsso che il neoplatonismo ebbe su Leonardo. Per la
verità, Vulliaud analizza il Bacco
ed il San Giovanni Battista
di Leonardo, che furono delle opere tarde, come lo fu il “Salvator
mundi”, come se il
maestro di Vinci, nell’ultima fase della sua vita, maturasse certi
influssi ricevuti nella parte iniziale della sua vita, nella Firenze
segnata dal Cristianesimo neoplatonizzante di Ficino, per fare un
nome. Vulliaud sottolinea più volte (e l’originale fu scritto
negli anni precedenti la Prima Guerra Mondiale, la Prefazione è del
1906) che tante delle scoperte di Leonardo erano o riscoperte o cose
già note: si tratta d’intuizioni notevoli, vista l’epoca in cui
fu scritto il libro, intuizione di fatti che oggi sono acclarati.
Giustamente Vulliaud osservava poi: “I testi di Leonardo sono
pieni di valutazioni negative nei confronti dei negromanti, degli
alchimisti e degli altri adepti di quella che è stata chiamata
l’Arte nera […] I critici ed i biografi che si compiacciono a
drammatizzare i loro racconti non dicono, del resto, che cosa un
Inquisitore avrebbe potuto trovare di riprovevole nei manoscritti di
Leonardo. […] Avesse voluto il Cielo che egli [Leonardo] si fosse
dato alle scienze dell’avventura piuttosto che dedicarsi, per
mania, alla ricerca di ricette per i suoi colori; e ad aver
applicato sui muri, per l’esecuzione dei suoi affreschi, materia
che si alterarono rapidamente, per non lasciare che delle rovine!
Nel 1517, il Cardinal d’Aragona visitò il convento di Santa Maria
delle Grazie ed il suo segretario, nel redigere le memorie del
viaggio di Sua Eminenza, annotò che la Cena
cominciava già a deteriorarsi” (ibid., p. 34). Quanto agli
alchimisti, Leonardo ne biasimava il fine, la produzione dell’oro,
non le loro operazioni che invece stimava. Ancora: “Forse, e quasi
sicuramente, Leonardo non era né devoto, né superstizioso; ma –
potrei chiedere – dove sono le prove che permettono di dedurre che
colui, che mai lavorò alla testa di Cristo senza che gli tremasse
la mano, fu talmente contagiato da nozioni eretiche da non credere
ad alcuna religione e da mettere la filosofia al di sopra del
Cristianesimo? […] Al ricercatore di aneddoti sul Rinascimento,
opporrei subito il giudizio […] del fondatore della Biblioteca
Ambrosiana, il nipote di San Carlo Borromeo, che dedicò tutto il
suo zelo alla conservazione delle buone tradizioni pittoriche. I due
pittori di questo grande arcivescovo furono […] Leonardo e Luini”
(ibid., pp. 36-37).
Condivisibile
anche il giudizio su Leonardo, viste le evidenze del suo ultimo
periodo, come quella di un’ascesa verso il divino da parte
dell’umano, piuttosto che di una discesa del divino verso l’umano:
quest’ultimo fu indiscutibilmente il Medioevo, la prima idea è
ciò che il Rinascimento avrebbe potuto essere e che non fu, se non
in qualche momento ed in talune grandi opere, fra cui alcune di
Leonardo. Ma il discorso ci porterebbe troppo lontano.
Per finire,
tra i libri letti da Leonardo vi è senza dubbio della letteratura
ermetica, “Ermete filosafo [con la “a”]” (Appendice III, in
Leonardo, Pensieri sull’universo,
cit., p. 663).
Probabilmente, si trattava del Liber de
protestate et Sapientia Dei, tradotto da
Ficino, stampato nel 1471 e molto diffuso all’epoca: rimaniamo
nell’ambito d’influsso neoplatonizzanti. Interessantissimo,
comunque, curiosare tra i libri che Leonardo leggeva, che dunque non
era per nulla “omo sanza lettere” nel senso moderno,
semplicemente non parlava latino ma leggeva il solo italiano. Fra
questi libri si notano Euclide, Alberto Magno ed Alberto Piccolo, o
Albertuccio di Sassonia, autore di molte scoperte e che Vulliaud
cita come una delle probabili fonti del Leonardo ingegnere, non
sbagliando in questo. Lo sviluppo scientifico nel Medioevo fu molto
più rilevante di quanto una certa “pubblicistica” abbia voluto
sostenere.
13
Quando sento parlare di “colpa”,
premesso che la colpa esiste,
tuttavia mi sovviene sempre in mente un detto giapponese: non
pensare di chi è la colpa, risolvi il problema. Solo che il
problema di una relazione che si è alterata nel corso dei secoli
evidentemente non può risolversi schioccando le dita.
14
Il quale Leonardo sosteneva il
ruolo “universale” del pittore, dell’artista, e diceva: “…
il pittore non è laudabile, se non è universale” (Citazione di
Leonardo in calce all’Introduzione di Mina Bacci in, Leonardo,
Fratelli Fabbri Editori, Milano 1965, p. 2). Quest’atteggiamento
ha, senza dubbio, spinto sempre più ad allontanarsi dal mondo
religioso. Se dunque Leonardo aveva in se stesso un altro
atteggiamento, il suggerimento qui sostenuto avrà degli appoggi
effettivi.
15
E non è il caso qui di fare della
storia, poiché il tema ci porterebbe troppo lontano dagli scopi del
presente breve elaborato.
16
P.
Vulliaud, op.cit.,
p. 18. Il Leonardo “ingegnere” ha
avuto molta notorietà negli ultimi decenni, ma Leonardo aveva
ancora un altro lato, quello di urbanista, sul quale cfr., Leonardo,
architetto e urbanista, Strenna Utet 1963.
Sull’atteggiamento di Leonardo verso la natura, che, senza dubbio,
aveva già delle rilevanti componenti già moderne ed
“ingegneristico-utilitarie”, va ribadito ancora una volta, e
continuamente, che però conservava molto di un atteggiamento
precedente. Per farla breve: non era un
positivista, nonostante molti scientisti
abbiano teso ad impadronirsene; fu, piuttosto, quel che, ad occhio
moderno, non può che apparire come uno strano misto. “A proposito
del ‘naturalismo’ leonardesco: esso è stato spesso inteso in
modo troppo positivistico, all’ottocentesca: al contrario, esso è
carico d’idealismo” (Anna M. Brizio, Introduzione a: Leonardo,
Pensieri sull’universo,
cit., p. 26).
17
P.
Vulliaud, op.cit.,
p. 19.
18
Ibid., p. 22, corsivo mio.
19
Un esempio è l’Obelisco lateranense, che,
sulla cima, ha il globo con su la Croce, fattavi porre da Sisto V.
20
Cfr., Vulliaud, op.
cit., pp. 88-89. In particolare, riporta un
detto di M. Ficino: “Beltà non è altro che lo splendore della
gloria che risiede nel Padre della Luce” (ibid., p. 88).
Interessante che si parli di “Gloria”, doxa,
kavòd, come di ciò
che è l’origine della Bellezza che, poi, si riflette nel mondo
creato stesso. Nella sofiologia di Bulgakov è piuttosto la
Sapienza, distinta in
creata ed increata, all’origine della Bellezza, in Ficino è la
Gloria. Le due cose
non sono inconciliabile, ma sottolineano i punti di vista ben
diversi fra i due autori appena citati, oltre che la differenza,
grande, di epoca.
21
L’aureola è comune nell’arte
cristiana, e d’ascendenza antichissima. Ma nel Medioevo, su
influsso orientale, si era diffusa, in modo minore: cfr., Jurgis
Baltrušaitis, Il Medioevo fantastico.
Antichità ed esotismi nell’arte gotica,
Adelphi, Milano 1978, p. 221 e sgg. Una forma di tali detti è
citata sempre in questo testo, ed è a sua volta presa dal Faust
di Goethe: “E’ il mondo;/ Sale e scende,/ E rotola
continuamente,/ E tintinna come vetro;/ Come si spezza presto”
(ibid., p. 227, nota a pie’ pagina, che contiene la traduzione del
tedesco originale citato dall’autore del libro). Interessantissimo
che Leonardo riecheggi un tema della parte finale del gotico, di
nuovo una certa opposizione fra Medioevo e Rinascimento, pur
essendoci, va sfumata, come si è detto citando un passo di
Vulliaud. Interessante anche quel che Baltrušaitis afferma poco
dopo aver citato il passo appena riportato: “Nell’arte fiamminga
questi globi contengono anche figure diaboliche” (ibid.), e dunque
il mondo, nel suo bene così come nel suo male, senza esser
“sorretto” da Cristo non può sussistere perché contiene in se
stesso anche del demoniaco. Vi è una duplice funzione, un doppio
lato nella bellezza, segno divino ed insieme stato “kenotico”,
e dunque anche un possibile uso demoniaco della bellezza stessa.
Tutto ciò richiama e richiede un momento di Redenzione, che solo
Cristo può e sa dare.
Il “Salvator Mundi” di Leonardo da Vinci in mostra a Napoli, http://www.la-mattina.it/il-salvator-mundi-di-leonardo-da-vinci-in-mostra-a-napoli/, insieme ad altre opere, fra le quali il “Codice Federiciano” della Biblioteca della Federico II.
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RispondiEliminahttp://associazione-federicoii.blogspot.it/2017/02/bruciare-libri-ed-erigere.html
RispondiEliminahttp://www.nationalgeographic.it/popoli-culture/2017/10/11/news/all_asta_ultimo_leonardo_posseduto_da_un_privato-3702657/
Nell’ultima Asta da Christie’s questo dipinto, quello di cui si parla qui sopra, è stato veduto al prezzo più alto di sempre ....
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