domenica 21 gennaio 2024

H. LARE ‘N ZIA (“per tacer del gatto” … che i cani tacciano, al contrario, sarebbe molto ma molto preferibile, ma oggi, pur “troppissimo”, è impossibile: abbaiano alla Luna …)

 

 

 

 

 

 

Acca Larentia. Antichissima divinità romana del suolo che custodisce la semente e le salme degli antenati. Perciò fu considerata come madre dei Lari ed anche dei Fratelli Arvali. — Il mito la pose poi in relazione con la leggende dio Romolo e Remo, come moglie del pastore Faustolo e nutrice dei due fratelli”.

D. CINTI, Dizionario mitologico. Mitologia greco-romana, divinità principali delle altre mitologie. Templi, riti, sacerdoti dei principali culti dell’antichità, Tascabili Sonzogno, Milano 1989, p. 7, corsivi e grassetti in originale[*]. In realtà, è un’antica dea (dia) in realtà d’origine italico-pre-romana, probabilmente con interferenze pre-indoeuropee, una forma della “dea bianca” di cui trattò R. Graves, dea ricordata nei toponimi, come quello di “Accadia”, cioè la dea (“DIA”) dal nome di “ACCA”.

 

ACCA LARENZIA 

Questa è una remota divinità latina, la madre dei Lari: la sua celebrazione, i Larentali, ricorreva il 23 dicembre. Acca Larenzia allevò pure Romolo e Remo; poiché con la parola lupa i Romani definitivamente le sgualdrine, e Acca Larenzia non si riteneva, a quei tempi, una donna di buoni costumi, è questa una spiegazione più razionale secondo la quale i due orfanelli vennero allattati da una lupa”.

AA.VV, Dèi e Miti. Dizionario di mitologia, LIBRITALIA, La Spezia s.d., p. 98. corsivo e grassetti in originale. In realtà, casi di uomini allattati da lupe – gli animali – si son riscontrati, rari, ma ci son stati; ma non è questo il punto: il punto è la relazione simbolica fra questa divinità e la data del 23 dicembre, poi con i due gemelli.

 

 

 

 

Al «gioco» era connessa anche la festa dei Larentalia che si celebrava il 23 dicembre, ultimo giorno dei Saturnali. Narra Plutarco che sotto il regno di Anco [Marcio] il custode del tempio di Ercole sfidò il dio a dadi: faceva da solo la parte di ambedue, e pose come condizione che il vinto pagasse una cena e una meretrice. Il vincitore fu Ercole, e allora il custode chiuse nel tempio Acca Larentia, allora celebre cortigiana, insieme con una cena. Il dio venne davvero, e il mattino dopo le ordinò per riconoscenza di recarsi al mercato e di abbracciare il primo che le fosse venuto incontro: fu un certo Tarrutius, uomo già avanti negli anni, ma scapolo e dal patrimonio considerevole. Egli le si affezionò così tanto da nominarla erede di tutti i suoi beni che poi Acca Larentia lasciò morendo al popolo romano. «Per motivo Anco la fece seppellire sul Velabro, il posto più rinomato di Roma» scrive Macrobio «e istituì in suo onore una solennità annuale: un flamine sacrificava ai Mani di lei, e la festa era sacra a Giove poiché gli antichi ritenevano che le anime provenissero da Giove e ritornassero nuovamente a lui dopo la morte.» Il «dono» divino ad Acca Larentia veniva ricordato  nei giorni consacrati a Saturno [legato al segno dell’Acquario, non dimentichiamolo, NON SOLO dunque a quello del Capricorno!]. Ebbene, la funzione di Saturno si ritrova, secondo Margarethe Riemschneider, in san Nicola o nei personaggi omologhi che distribuiscono doni a dicembre. «Che per distribuir doni ai nostri bambini scomodiamo un incolore Babbo Natale, o invece un burbero “Knecht Rupprecht” [Cavalier Roberto] o san Nicola o il “Peltzickel” [o Belsnickel, anche Bell Sniggle nelle comunità tedesca della Pennsylvania negli Usa: fa parte, come il “Cavalier Roberto” dei cosiddetti “Compagni di san Nicola”], dietro tutte queste figure sta sempre l’invernale Saturno [ed anche un po’ … l’ infernale!] … Se ancor oggi [ormai è molto desueto quest’uso] i bambini pongono davanti alla porta una scarpa, un piatto o qualche altro oggetto, affinché il Santo porti loro furtivamente mele e noci [NB], è perché esse costituiscono l’immagine infantile della buona fortuna.» La quale può essere simboleggiata anche dal corredo, come nella leggende di san Nicola che lancia furtivamente da una finestra ad una ragazza senza dote tre palle d’oro, omologhe ai dadi con cui si gioca il destino Acca Larentia. Ma – si obietterà – la data dei Saturnali non coincide con la festa di san Nicola. È vero; tuttavia vi è una coincidenza: il 6 dicembre, come s’è spiegato, i giovani allievi dei seminari sceglievano fra di loro l’episcopello, il burlesco interrex che sarebbe stato il protagonista della festa dei Santi Innocenti. Le coincidenze nel calendario non sono mai casuali, come non lo sono i simboli di cui è tessuta la trama dei giorni; come non lo è neppure il robone «regale» di Babbo Natale che con la sua slitta tirata dalle renne pare alludere alla lunga traversata della notte artica verso il nuovo anno di luce”, A. CATTABIANI, Calendario, Rusconi Libri, Milano 1987, pp. 66-67, corsivi in originale, grassetti miei, mie osservazioni fra parentesi quadre.

Tra l’altro, nel volume appena citato, Cattabiani tratta diffusamente del carnevale – come della festa di Sant’Antonio Abate (l’egiziano, cioè), che segna l’inizio del carnevale come “car naval”, cioè “carro navale” (vi è un articolo, a tal proposito, su d’un vecchio numero della rivista “Abstracta”) – dove, però, criticava Guénon e ne diceva “fuorviante” l’interpretazione del carnevale di Guénon. Adduceva delle argomentazioni che … confermano quel che ne diceva Guénon! Solo che non aveva capito la sostanza delle argomentazioni dello stesso G., siamo quindi alle ricorrenti – frequentissime – incomprensioni: “No surprises” (canzone dei Radiohead, 1998).

Se capita (secca pita …) se ne tratterà, en passant, ovvio, di questa questione “carne va lì, zia”.

Dicendo “incomprensioni” non voglio affatto dire, come invece facevano (ed alcuni ancora fanno, ahi noi), che “si debba” esser d’accordo con Guénon: lungi da me. Ma il disaccordo deve vertere su qualcosa di reale, tipo il disaccordo tra Guénon ed Evola, che verte su alcune questioni sostanziali, e non un disaccordo che si basi sull’incomprensione che, a sua volta, nasce da delle “proiezioni” (alias: pregiudizi, ma in senso etimologico proprio) fatte su di un autore. Leggendo Cattabiani sul punto – il carnevale come “liberazione di forze inferiori” –, infatti SI VEDE, molto chiaramente, che Cattabiani, DI FATTO, conferma quel che Guénon  diceva del carnevale! 

A questo punto, uno si chiede: “ma si son capiti”? Direi proprio di no, ma la questione si chiarisce quando, a nostra volta, si capisce che alla “liberazione di forze inferiori” Cattabiani assegna delle conseguenze, mentre Guénon delle altre. Tuttavia … è la stessa cosa … questo è “il bello” della vicenda!

Sempre di “liberazione di forze inferiori” si tratta!

 

 

 

 

Andrea A. Ianniello

 

 

 

 

[*] Vi è un’altra leggenda rispetto a quella riportata da Cinti, quella, per l’appunto, che Cattabiani cita qui sopra. Ma un’altra fonte cita le due versioni della “leggenda”, quella riportata da Cattabiani e quella riportata da Cinti: cf. P. GRIMAL, Mitologia, “L’Universale. La grande Enciclopedia Tematica”, “le garzantine” Garzanti Libri, Milano 2005, pp. 3-4.

 

 


 
 


 
 


 
 


 

 

2 commenti:

  1. Sono A.,accidenti non avrei mai pensato che fosse roba "sensibile" quello che ho fatto notare,roba grossa assai come intuivo...
    Concordo sul nucleare,il pericolo più grosso è il nichilismo e l'ingnoranza della gggente che non si rende minimamente conto del pericolo,colpa delle suggestioni che da decenni mostrano la bomba come un'esplosione da cartone animato mentre invece è tutt altro.Pure io essendo del mestiere -quindi so benissimo di cosa si tratti a livello scientifico-faccio una fatica bestiale a percepirla per quello che è,anche per me ci vedo solo un'esplosione, non si leva dalla testa,stà suggestione mi si è stampata nel subconscio e da lì non si schioda...

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    1. Ma è - oggettivamente - difficile capirci **davvero** cosa sia, salvo magari vedere i documentari non delle vittime di Hiroshima - cui è capitata su, senza poter aver **un minimo** di spazio per “mentalizzare” la cosa, per “ridurla” a qualche categoria già esistente, paragonarla, ed dunque capirci qualcosa -, ma invece a quei soldati che furono precettati per assistere alle varie esplosioni, praticamente come cavie di fatto. Ecco: **non è** una mera “esplosione” di tantissimissimo tritolo - col quale pure se ne misurava, proprio ai primi tempi, la forza -, semplciemente ultra fortissima, non è così, è una cosiddetta “arma” - potenzialmente ingestibile ma non inusabile (apprente contraddizione) - di natura differente da qualsiasi altro genere di armi. Se, poi, ragioniamo che questa scoperta potrebne none ssere una novità del tutto assoluta (vi son dei passi da testi buddhisti ed induisti e le prove - solo indiziarie, chiaro - a Mohenjo Daro che potrebbero attestare la loro già precedente scoperta), se ne deve dedurre che già l’umanità potrebbe averle conosciute, però già di seguito **abbandonate** per la loro potenziale ingestibilità, ingovernabilità, che le rende non delle armi. “Conditio sine qua non” di una qualsiasi armi è, ionfatti, la sua gestibilità, che vuol dire poterla imemdiatamente, completamente fermare, arrestarne l’uso a piacimento. Tutte cose che l’arma nucleare non è assolutamente in grado di garantire, per tacere del fatto che l’inevitabile ritorsione non presenta un limite in vista che non sia l’ultimo. Ma proprio la prima immediata fase dell’arma nucleare - quella sorta di super flash, diciamo così per farci capire - ci dice che **non è** un’esplosione bensì una reazione al livello atomico che, dopo, dunque, genera (**anche**) un’esplosione ... ...





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