lunedì 24 agosto 2020

Gramma ….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Oceano deforme del negazionismo: vittime di un “dominogramma” (secondo l’espressione coniata da Norman Spinrad, Il signore della svastica, [una frase di tal libro è stata riportata in un vecchio post[1]], Teadue, Milano 1994).

Il “dominogramma” è l’invenzione di Spinrad e significa l’influenza “psichica” dei “Dom”, cioè mutanti, che intendono “dominare” – appunto – la Terra dopo una catastrofe nucleare: son i classici ingredienti della fantascienza “distopica” ma usati in modo assai ironico e spesso sarcastico, da parte di Spinrad, il quale vuol dimostrare quanto sia facile cadere nella trappola del “sogno di gloria”, del “sogno di ferro”, poiché chi si oppone ai “Dom”, nel suo libro, qui sopra citato, – Feric Jaggar –, in realtà è modellato su Hitler.

Ed è seducente come Spinrad renda facile “credere” a Jaggar (Hitler, nella sua “distopia”, sarebbe un autore di fantascienza che, scrivendo, pone in atto ciò che noi sappiamo Hitler abbia fatto, ma non contro altri popoli, bensì contro questi mutanti dotati di facoltà “psi”, i “Dom”, appunto: in tal modo la cosa perde la sua scandalosità perché la sua intenzione non è quella di discutere “politicamente”, ma di sottolineare la seduzione del credere in modo fanatico).

Man mano che il libro si sviluppa, tuttavia, Jaggar diventa sempre più deviante …

E i “Dom”, ovviamente, secondo un altro stilema degli “anni Cinquanta” americani, avrebbero posto sotto il loro comando i comunisti, cioè la Russia sovietica (fuor di metafora), un’altra “fixe” di quegli ambienti negazionisti, tuttavia solitamente amici di Putin, perché Putin sarebbe il difensore della Cristianità, secondo loro (far loro capire cos’era il Kgb è praticamente impossibile).

Il libro termina con un sarcastico “pezzo” pieno di “psicologismo” freudiano anni Cinquanta, la cui chiusura è la seguente: “Una simile creatura [Feric Jaggar] potrebbe dare a una nazione la guida ferrea e il senso di certezza sufficienti a fronteggiare una crisi mortale, ma a che prezzo? Guidati da Feric Jaggar potremmo conquistare il mondo a prezzo delle nostre anime. No, anche se lo spettro della dominazione comunista sul mondo può far sì che i più semplici provino il desiderio di un leader modellato sull’eroe de Il Signore della Svastica, in senso più lato siamo fortunati che un mostro come Feric Jaggar non possa che rimanere per sempre confinato nelle pagine di fantascienza, sogno febbrile di un autore di fantascienza nevrotico chiamato Adolf Hitler. Homer Whipple, New York, N. Y., 1959”, ivi, p. 247, corsivi e maiuscoletto in originale. Ora, noi tutti ben sappiamo che Hitler (nella metafora: Feric Jaggar), in realtà, veramente ha realizzato quel che lo Hitler della fiction ha soltanto immaginato … Monito perenne a non cadere nei “sogni di gloria”, a non cadere nel “sogno di ferro” che, in effetti, è il vero titolo originale del libro: The Iron Dream[2]

Questo piccolo libro – degli anni Settanta (edizione or. 1972)[3] – rimane un monito alla seduzione del “sogno di ferro”, che non si contrasta con le armi della “democrazia”, questa vecchia ciabatta dell’epoca “dell’individualismo e della ragione”[4], perché spingono nella direzione nella quale i fenomeni di “credenza deviante” diventano come un’apparente “alternativa” al nulla dominante. Non parlo delle perversioni, ma solo dell’esibizionismo – e non solo sessuale: c’è gente che fa le foto a ciò che mangia … –, oggi così diffuso (un tempo era sui balconi o altrove, oggi soprattutto, ma non solo, sui “social”): ma perché ce n’è tanto? Perché “laggente” reclama: “io esisto”, ci sono, nel vuoto spinto dell’assenza di senso, nel “buco nero del senso” (Baudrillard).

Non vi è solo questo, ma il fatto che la gente deve pur indirizzare le sue energie da qualche parte, deve pur credere in qualcosa[5]: crede nel calcio, in illusorie soluzioni che portano solo più vicino alla dissoluzione, crede ad ogni sciocchezza (che la terra sia “piatta”), beve ogni follia.

Ma perché?

Perché “deve pur credere in qualcosa”.

Tutta questa deriva nasce dall’incapacità di saper fornire degli scopi collettivi, generali.

E questo, a sua volta, nasce dalla vera e propria bancarotta mentale, culturale, umana e sociale dell’ “era dell’individualismo e della ragione”. Da questo nasce, questo è.

Chiaro che queste sono parole sgradevoli, un po’ per tutti gli orecchi, sia di “sinistra” che di “destra”, ma nascondere la testa sotto la sabbia non cancella il deserto.  

La cura al credere folle non è il non credere, ma il credere temperato dalla ragione o una ragione che sappia pur ammettere il credere, in forma moderata, e non se ne scandalizzi. Ma non puoi credere ad un’illusoria “ricchezza”, al riempirti lo stomaco, non puoi creder al meccanismo di auto sostentamento di un sistema qualsiasi. Perché credere significa credere in un qualcosa che ecceda un determinato piano, qual che sia questo qualcosa, di reale o d’illusorio, ben sapendo che “laggente”, se non potrà credere in qualcosa di reale, di certo crederà comunque: crederà nelle illusioni. E questa è la via più pericolosa che ci sia.

Noi siamo su questa via.

Ed ecco la via che porta al – vero – “Anticristo” ….    

 

 

Ma torniamo ai negazionisti.

La cosa divertentissima è che costoro si credono “alternativi” – ridicolo – quando invece sono i “cani da guardia” di un sistema in crisi irreversibile, dove “irreversibile” vuol dire che non può ritornare al suo stato precedente, piaccia o non.

Ma che non possa tornare allo stato precedente non vuol dire, a sua volta, che non possa continuare sulla via di una “digitalizzazione” autodistruttiva: è vero il contrario, l’esatto contrario. Anzi, le tendenze alla digitalizzazione prendono ancor più forza …

E’ come dire: la cura della malattia è proseguire nella direzione della malattia … una cosa che fa ridere. Ma se non riesci a metter sotto controllo la potenza della tecnica, le tue capacità di “decidere” sono tutte illusorie, di qui il fatto che la politica sia solo comunicazione, che le sua capacità “decisionali” siano ridotte al minimo[6]. Ora, ciò è semplicemente inevitabile.

Vi è un credere temperato o un credere deviante: non vi è un non credere.

Se non potranno avere un credere temperato, ne vorranno uno deviato. Poiché “credere” fa parte dei bisogni umani. Anzi, è ciò che, davvero, differenzia gli umani dagli animali, per ogni altra cosa potendoci essere un qualche parallelo.

Hitler attribuiva, e molto seriamente, la sconfitta della sua causa al fatto che i suoi seguaci non c’avevano creduto abbastanza. Credeva – e per davvero – che, se avessero creduto abbastanza, avrebbero vinto la Battaglia d’Inghilterra. Se avessero creduto abbastanza, dunque avrebbero superato l’invisibile Manica che li separava dalla vittoria, e lo credeva per davvero. Stranamente, però, Hitler si trovò di fronte qualcuno che credeva davvero, in modo temperato, ma credeva.

Il che dimostra che la forza – quantità – del credere, sì, è un parametro, ma la qualità del credere è altrettanto un parametro importante, forse anche più importante; il libro di Spinrad pone l’accento sulla qualità del credere: “attento a cosa credi”, parrebbe dire, “poiché potresti anche ottenerlo” … Sottinteso: non nel modo in cui credevi   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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[1] Cf.

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2019/06/nemmeno-n-milione-di-volte-baseterebbe.html. 

[2] Cf.

https://www.youtube.com/watch?v=43o1pFLcmsA.

[3] Cf.

https://en.wikipedia.org/wiki/The_Iron_Dream.

[4] Cf. Sri Aurobindo, Il Ciclo umano, Edizioni Arka, Milano 1985, pp. 24-33.

 Non ha però alcun senso – come ho visto fare a taluni che dicono di seguire Aurobindo – e difendere “l’era dell’individualismo e della ragione”, con la sua idea di “libertà individuale” che la tecnica stessa ha, ormai, fatto a pezzi, da dentro. Significa dimenticare quel che scrisse Aurobindo sull’epoca che sarebbe seguita a quella “dell’individualismo e della ragione”: “L’Era infrarazionale del Ciclo”, ivi, pp. 174-182.

Noi – da tempo – siam ben dentro a questa fase “infrarazionale”, da ricollegarsi alla fase di “implosione” (Baudrillard) con in vista l’esito della “dissoluzione” (Guénon) … E la fase “infrarazionale” non la contrasti richiamandoti alla fase “dell’individualismo e della ‘ragione’” per la semplice ragione che quest’ultima non ha potuto che farci arrivare alla fase presente. Vi è un legame di stretta causalità orizzontale.

[5] Ogni problema trova qualche rappresentazione parziale in qualche film: quest’osservazione – che la gente deve pur credere in qualcosa, sennò non è umana, la si trova nel vecchio film “Il mio nome è Nessuno” (1973), cf.

https://it.wikipedia.org/wiki/Il_mio_nome_%C3%A8_Nessuno. 

[6] Cacciari le reclama, nel suo ultimo libro, un’interessante riflessione a partire da Max Weber, cf. M. Cacciari, Il lavoro dello spirito, Adelphi Edizioni, Milano 2020. Per quanto possa essere interessante la riflessione, quel che lui “reclama” non può darsi nel contesto attuale per ragioni di sostanza.  

 

 

 

2 commenti:


  1. Tutte queste morti, e in così poco spazio di tempo, eppur non succede nulla … Interessante. Quel che ha dimostrato, fra le tante altre cose, questa pandemia è che “tu”, “io”, “noi” **non siamo** e che la rivendicazione dell’ “io sono” a fronte dell’assenza di senso e dell’indifferenza di un sistema dove gli uomini non contano niente – salvo abbiamo soldi, che non hai secondo altri meccanismi se non quelli sistemici stessi – tale rivendicazione vale zero. Lo puoi fare eh, che dico: lo **devi** fare, devi “rivendicare” la tua presenza nel mondo dell’assenza, poiché il meccanismo del consenso si regge ormai su questa rivendicazione, ma non per questo sei, o diventi …




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