“I cani si ribellano
ai padroni,
ma domani ritornano
pecoroni”.
Questo si legge su di un muro in
Via Vittorino da Feltre, Roma
(non lontano dal Colosseo)
“La notizia aveva attraversato San Pietroburgo, la
capitale, come una fiammata di polvere da sparo. In quell’afoso agosto del
1903, non si parlava d’altro, sia nei saloni felpati degli aristocratici sia
nelle catapecchie più misere, rabbrividendo piacevolmente al sicuro delle mura
cittadine. […] Perfino lo Zar sembrava preoccupato: nella parte opposta del
paese, nella misteriosa Siberia, glaciale d’inverno e rovente d’estate, un
intero villaggio era stato sterminato [da una tigre]”[1].
“La tigre, enorme, era distesa sull’erba fresca, che
arrossava del proprio sangue. Mortalmente ferito, il ragazzo crollò a sua volta
accanto a lei.
Riversi fianco a fianco, i due si guardarono negli occhi
per tutta la notte.
“Quando vi sono troppe erbacce e non abbastanza querce,
quando vi son più passerotti che aquile, più topi che tigri, più granito che
diamante, viene a crearsi uno squilibrio che comporta un rinnovamento della
situazione mediante il gioco delle forze naturali. Nulla muore. Certe forme
naturali scompaiono, sostituite da altre, ma lo spirito vivente che è in ognuna
di esse non muore mai”[3].
Tal squilibrio è … Oggi
…
“Ogni volta che si evoca la distinzione fra legittimità e
legalità, occorre precisare che non s’intende con ciò, secondo una tradizione
che definisce il pensiero cosiddetto reazionario, che la legittimità sia un
principio sostanziale gerarchicamente superiore, di cui la legalità
giuridico-politica non sarebbe che un epifenomeno o un effetto. Intendiamo
invece che legittimità e legalità sono le due parti di un’unica macchina politica,
che non solo non devono mai essere appiattite l’una sull’altra, ma devono anche
restare in qualche modo operanti perché la macchina possa funzionare. Se la
Chiesa rivendica un potere spirituale al quale il potere temporale dell’Impero
o degli Stati dovrebbe restare subordinato, com’è avvenuto nell’Europa
medievale, o se, com’è accaduto negli Stati totalitari del Novecento, la
legittimità pretende di fare a meno della legalità, allora la macchina politica
gira a vuoto con esisti spesso letali; se, d’altra parte, com’è avvenuto nelle
democrazie moderne, il principio legittimante della sovranità popolare si
riduce al momento elettorale e si risolve in regole procedurali giuridicamente
prefissate, la legittimità rischia di scomparire nella legalità e la macchina
politica è ugualmente paralizzata [Mission
Accomplished, nota mia]”[4].
“Qualcuno ha detto che con la democrazia vien esteso a
tutti il privilegio di accedere a cose che non sussistono più”[5].
“E’ plausibile che la secolarizzazione fosse già in corso nel
Paleolitico superiore – e il processo non s’è mai interrotto. Ma quando si può
dire che la secolarità si sia insediata definitivamente? Negli anni in cui
Adorno scriveva Minima moralia [ed
ecco perché il mio sempre
vagheggiato progetto di scriver Minima
Immoralia è sempre naufragato:
richiederebbe che la “secolarità” fosse sparita …], quindi intorno al 1950
negli Stati Uniti [quell’America studiata da G. Anders ne L’uomo è antiquato, degli anni Sessanta del secolo scorso, nota
mia]. La parola ‘secolarità’ non era in uso corrente e nessuno pensò di
celebrare il suo insediamento. Fu allora che il mondo delle case unifamiliari, con
piccolo giardino e staccionata, diventò normalità.
E la normalità prese il posto della norma. Tutto questo avrebbe potuto essere
accolto con sollievo […]. Ma così non fu. Anzi, un sordo rancore,
apparentemente senza oggetto, cominciò a svilupparsi molto presto. Quando nei
campus e nelle aule una internazionale giovanile cominciò a rumoreggiare contro
il sistema, quel rancore si stava già
articolando, anche se i suoi bersagli potevano essere illusori o fuorvianti”[6].
“Se si nomina il carattere formale della democrazia, molti
danno segnali d’insofferenza e si affrettano a dire che la democrazia non è mai
abbastanza democratica, e che per essere vera la democrazia dovrebbe essere
sostanziale, e che forse un giorno lo diventerà […] … A quel punto si potrà
essere sicuri: chi parla è nemico della democrazia. In fondo, ciò che univa
Lenin e Hitler era in primo luogo l’avversione per la democrazia formale. Tutto
il resto ne discendeva come una conseguenza, in direzioni diverse, ma neppure
tanto lontane. La meraviglia della democrazia sta nel suo essere vuota, senza
contenuto. E’ una dottrina per la quale essenziale è la regola, prima ancora di
ciò che la regola prescrive [ed ecco perché la democrazia in Italia è, e sempre sarà, un fallimento; nota mia].
[…] La democrazia formale è senz’altro la più perfetta versione della democrazia,
ma anche la più inapplicabile. Soprattutto quando è stato superato un certo
meridiano della storia e le pressioni demografiche, psichiche diventano
sopraffacenti. Allora risorge la chimera della democrazia diretta. Suo
fondamento è l’odio per la mediazione, che facilmente diventa odio per il
pensiero in sé, indissolubilmente legato alla mediazione. Tanto più preziosi
sono e saranno i superstiti scogli di democrazia formale, battuti e spesso
sommersi dai flutti di qualcosa che in varia misura si rivela funesto”[8].
“Homo saecularis
non è così contrario alle religioni in sé. Le religioni somigliano molto alle
ideologie – e con queste è abituato ad avere a che fare ogni giorno. Chi dice
di essere cristiano non deve essere molto diverso da chi dice di essere
vegetariano. Sono tutti gruppi, comunità, confraternite. Si può essere
comunisti – come anche culturisti. Ogni scelta va rispettata. Sono tutte
minoranze. Nicchie. Quel che Homo
saecularis invece non riesce a cogliere è il divino. Non sa situarlo. Non
rientra nell’ordine delle cose. Delle sue cose”[9].
“Da tutto questo poteva derivare un rivolgimento che
Benjamin condensò in una formula: ‘Acquisire alla rivoluzione la forza
dell’ebbrezza’. Se mai ci fu un contributo di Benjamin a qualsiasi rivoluzione,
fu questa frase. Quando la scrisse, Benjamin ignorava ancora che l’unica
rivoluzione a lui cara – quella russa – si stava occupando di tutt’altro. Ma
l’idea di una teologia secolarizzata,
che ha ossessionato e assediato tutto il Novecento, non per questo si è
esaurita. Chiunque pensi al di fuori del recinto logico-matematico sa che le
categorie teologiche sono sempre vive ed operanti.
Al tempo stesso, una volta superata una certa soglia della
storia, certi gesti sono colpiti da obliterazione irreversibile. E’ vano
pensare, se non si tenta di pensare che cosa sia il sacrificio. Ma è ormai impossibile attuare, in qualsiasi forma
[salvo in luoghi remoti, nota mia], il sacrificio cruente. Qualcosa di
parallelo si porrebbe dire di altre categorie teologiche, come la grazia o il libero arbitrio. Che ormai si sono sottratte al loro quadro
confessionale e punteggiano come altrettanti dolmen un vasto paesaggio
selvatico e silenzioso”[10].
“La piaga aperta della democrazia è la possibilità che, per
vie legali, giunga al potere chi si propone di abolire la democrazia stessa,
come accadde con Hitler nel gennaio 1933. Piaga non medicabile […], perché la
democrazia […] cela in sé il germe
dell’autodistruzione. Nel caso si pretenda di guarire la piaga con una
terapia traumatica, generalmente un colpo di Stato, si apre una via che finisce
per rivelarsi la premessa di futuri disastri”[11].
“Maggio 1933. Céline scrive a Eugène Dabit: ‘C’è un non so
che d’isterico e urgente nell’aria … C’è muda – E’ una nave che si allontana
.[…]’. L’orrore che si stava profilando, il nuovo
orrore, non era soltanto quello totalitario – termine eufemistico,
delimitazione provvisoria. L’orrore non era soltanto una certa forma di
società, ma la società stessa, in quanto finalmente si riconosceva autosufficiente,
sovrana e divoratrice sotto qualsiasi forma. Di Hitler e di Stalin un giorno ci
si sarebbe sbarazzati, non però della società. Céline, che non pensava ma
intuiva, e subito oscurava quello che aveva appena intuito, lo scrisse a Élie Faure:
‘Di fatto siamo tutti assolutamente dipendenti dalla nostra Società. E’ lei che
decide il nostro destino’. Per una volta, aveva anche usato una maiuscola”[12].
Come prima cosa,
ricordiamo un altro post ch’è stato dedicato alla Rivoluzione russa, cf.
e che dà – quest’ultimo
– accesso all’altro dedicato alla Rivoluzione russa, della quale corre il centenario.
Avvenne infatti tra il
sette e l’otto novembre del 1917, ma, poiché nella Russia dell’epoca era
vigente ancora il vecchio Calendario giuliano – non
quello, riformato, “gregoriano”,
perché riformato da papa Gregorio XIII (1572-1585) – vi avvenne tra il venticinque
ed il ventisei dell’ottobre di cento anni fa.
Il bene dell’individuo è, oggi,
tutto, ed esso è, ormai, “il dio” della “nostra” epoca “doxomanica”.
E qui, su questo
preciso punto, Calasso, pur avendo una prospettiva “difensiva” della democrazia
– pur criticandola -, in altre cose, vede giusto ma solo en passant, quando scrive – parlando di “secolarità”: “All’opposto
dell’uomo vedico, che nasceva gravato da quattro ‘debiti’, […] verso gli dèi, verso
i ṛṣi, verso gli antenati e verso gli
uomini in genere, Homo saecularis non
deve nulla a nessuno. Sta per sé. Non ha nulla dietro, se non ciò che fa. Inevitabile un senso d’incertezza,
perché poggia su qualcosa d’instabile […]. Il piacere dell’arbitrio è guastato
da quella inconsistenza. […] Non c’è un modello da raggiungere, neppure per il
piacere. C’è la sovranità – prima dell’oggetto su cui esercitarla. Cruccio
perenne di Homo saecularis, che però
è restio a parlarne”[13].
Deduzione: 1) la sovranità è dell’individuo, di “ogni” individuo, “turista” per
natura, secondo Calasso, secondo il quale il turismo “globale” si ricollega in
modo necessari al terrorismo come due fenomeni speculari fra loro; 2) ma tale
sovranità è posticcia, incerta, senza basi né modelli di riferimento, nel
linguaggio di questo blog è sovranità “simulata”. La ragione vi è chiara: vi è
questa sovranità costitutiva e però manca l’oggetto su cui esercitarla. Che
sovranità mai è quella che non si esercita su di un qualcosa o un qualcuno … e
questa è solo una domanda retorica, ovvio.
La “propria” opinione è
“dio” oggi: basta girarsi intorno e andare in qualche “non luogo” (per dirla
con Augé), dove ormai l’ “altro”, o gli “altri”, non esistono, c’è solo il bisogno – immediato – individuale, che è “dio”. Questo, di fatto, distrugge ogni cosa, mina il
legame sociale alla radice[14].
Questa è la realtà, oggi, ma non
sarà il ritorno al passato a poter salvare. Non vi più alcun passato cui
tornare, quando abbiamo, invece, molte ma molte riproduzioni
del passato stesso. Difatti, il “mito” fasullo della scienza e tecnica moderne
sta nella “riproducibilità totale”, il più osceno ed immondo totalitarismo mai
visto nella storia, che pone termine alla storia: tutto si deve poter riprodurre. Dunque “si deve”, non si può: che
si possa è irrilevante che si debba
ecco, qui è il punto vero. Di riproduzione in riproduzione il “mito fondante”
la modernità – “l’originale” – passa e viene coperto dai prodotti della
modernità stessa: questo fu ben capito da Baudrillard, quando (negli anni
Ottanta!!) diceva che l’originale non esiste, che il flusso riproduttivo poneva
termine alla “metafisica dell’originale”, del “vero”, del “popolo” come base,
dunque alla sinistra.
Eh sì, perché sinistra
e destra, pur essendo di fatto, annullate come capacità decisoria, non sono annullate come “orientamento” allo
stesso modo: le destre possono sussistere, il loro richiamo “all’origine” vi è
debole; le “sinistre”, sostituite dai “sinistrati”, sono invece del tutto
annullate: annullate, e questo lo si sa dagli scritti di Baudrillard, degli
anni Ottanta del secolo scorso: “giusto per”,
come diceva qualcuno …
La “sinistra” è entrata
non nella prospettiva Win/Win – in
cui sono le destre, “sovraniste” o “tecnocratiche” che siano, si vince sempre -,
ma in quella Lose/Lose: che siano quelle
“di governo” (così duramente
irrise da Baudrillard negli anni Ottanta), o chi vuol “preservare” la “propria
identità”, comunque perdono, sono
residuali, subalterne, marginali per
definizione.
Ma il bello è che manco se ne accorgono: se
uno va da un loro rappresentante, e cerca di spiegargli, ma proprio in modo
piano e regolare, che cosa è che
non va, il “punto” nodale, non capiscono
proprio.
Ciò è dovuto
all’assunzione, senz’alcun filtro critico, della logica dominante, come se quest’ultima
dovesse funzionare secondo il loro assenso o meno.
Comprendan lor signori,
se Vogliano farlo: la logica
fondante “systemica” funziona “in
automatico”, e non chiede a nessuno
“il permesso”, nemmeno più il consenso, che è dato per principio, dunque non ha più neanche il bisogno di cercare
il consenso. Si figurino, lor signori, il punto cui si è giunti oggi.
Ed occorre prender atto
della realtà per poter elaborare qualcosa, non avere in mente una situazione del passato, ormai trapassato. Insomma,
il System è cibernetico e non certo etico, dunque, ormai,
autoregolatosi.
Le “distopie”
novecentesche (dal film “Orwell 1984”, del 1984 appunto, a vari altri film,
come, per far un esempio, “L’uomo che fuggì dal futuro” (di G. Lucas), del
1970, o “Il mondo dei robot” (di M. Crichton), del 1973) videro giusto, e in
quell’epoca si era molto ma molto ma molto più
espliciti di oggi, che viviamo nella realizzazione di quelle distopie.
Avevano ragione, però, con un grosso errore, davvero grosso: in vista vi era lo “stato
totalitario”, comunista o nazista che fosse.
Che
ingenuità! Qual errore,
davvero grandissimo! E che superficialità!! Ogni stato cosiddetto
“totalitario” ha, infatti, un grossissimo
problema: il consenso, per questo ti trovi la Gestapo a casa. Ora, il problema
è risolto. Hitler doveva mandarmi al Gestapo a casa per acchiapparmi; oggi un
qualunque tecnico può sapere dove sto, gli dico tutto io direttamente con i
mezzi elettronici, ed “io è tutti” qui. La cosa bella è che ciò non è percepito come male: sta tutto qui
“il trucco del diavolo”, davvero è diabolico tutto ciò. Come chiamarlo
altrimenti … La “fine della democrazia” (il cui processo pieno inizia nel 1994,
come si è detto in un passato post in questo blog) si vede dalle solite
giustificazioni quando si fa notare questo genere di fatti: “Non ho nulla da
nascondere” o “La sicurezza è importante” e via dicendo.
Non capiscono il punto:
il controllo sociale non è più devoluto ai controllori, invece ai controllati
stessi. Se questo sistema però ha molte falle, ciò è dovuto al fatto che i
controllori, che sono i controllati, non si controllano a sufficienza. Al
limite, lo stato e la politica possono scomparire: sì, siamo su questa via. E non da ieri. Per lo meno dalla ristrutturazione
sistemica della metà degli anni Settanta del secolo
scorso.
Qualche
annetto fa, ormai …
Per questo, tra l’altro,
la “democrazia” non è oggi che un
formalismo, vuoto di senso: non può esser che così.
Qui di seguito, la
copertina di un vecchio libro, una rarità ormai: I bolscevichi e la rivoluzione d’ottobre. Verbali delle sedute del
Comitato centrale del Partito operaio socialdemocratico russo (bolscevico)
dall’agosto 1917 al febbraio 1918, Editori Riuniti, Roma 1962.
Veniamo a un punto,
forse interessante: qual è la relazione della Rivoluzione russa con il processo
detto “modernità”, processo di prosecuzione nella “catena d’errori della
modernità”, catena nata con Lutero, del quale quest’anno (il 31 ottobre)
ricorre il cinquantenario dell’affissione (in realtà, mai avvenuta sulle famose porte della chiesa del castello di
Wittenberg) della pubblicazione delle “95 Tesi”? oppure di – parziale,
ovviamente – rottura?
La “catena d’errori
della modernità” è la ben conosciuta tesi del “tradizionalismo” cattolico.
Il legame fra i due,
diversi, eventi è solo e soltanto
nella “natura rivoluzionaria”, non
nelle modalità, e nemmeno nel
significato.
Sia detto tutto ciò a chiarissime lettere.
Ed è, soprattutto,
nella natura del “rivoluzionario”, dove, tanto Lutero che Lenin, diedero la
fiamma iniziale a delle polveri che Né avevano accumulato e né avrebbero
gestito loro: infatti, il parallelo sta proprio nel fatto che, ambedue,
avrebbero aiutato altri a diventar potenti e centrali, in una determinata
situazione che, senza di loro, non avrebbe ai potuto esserci, ma che poi non
gestirono affatto. E questo è molto indicativo. Per il resto, le cose son del
tutto diverse. Il protestantesimo – come la ben nota, e giusta, tesi di Weber
(ne L’etica protestante e lo spirito del
capitalismo) attesta – non ha poco contribuito alla genesi dello “spirito”
(geist) del capitalismo (Kapitalismus, col kappa), mentre la Rivoluzione d’Ottobre avrebbe voluto abbatterlo,
dunque l’opposto. Tra l’altro, Weber non ha mai sostenuto che il
protestantesimo abbia “generato” il capitalismo, ma che, invece, abbia
contribuito in modo decisivo alla sua
“mentalità” (geist).
Insomma, il legame tra
la Rivoluzione del 1917 e l’ “affissione” (presunta)
delle “95 tesi” il 30 ottobre del 1517 non
è poi molto di più che la terminazione
in “17” dell’anno …
Ma si pone il problema,
che in questo blog si considera molto rilevante, quasi decisivo, dell’iter,
dell’andamento, dei fini, della natura del mondo moderno nel suo indefettibile,
ingestibile, ineliminabile, del tutto ingovernabile, indefinitamente lungo Autunno[15].
Proprio come questo
caldo autunno senza fine.
Poi cambia, certo, è
vero, ma quanto “poi” … e con che ritmo … il cambiamento è oggi sfogo temporaneo:
mai una cesura, mai un “irreversibile”, tutto è vi è un “flusso”, mai dunque una
“rivoluzione” che segni un “limite”, mai “passaggio al limite” (Guénon), ci
balocchiamo “cercando Maria per Napoli” (o Roma, c’è lo stesso detto a Roma), e
Maria non ci sta più … il “limite inattingibile”, il “punto d’indecidibilità”
dove la “crisi” diventa endemica
ed irrisolvibile = non termina,
pur iniziando, tutto è liquido. Insomma, la crisi è interminabile, labirintica,
essa è come un dedalo, il famoso “labirinto della modernità”, tanto esaltato in
altri anni – e ripensandoci, che risate …
-, esaltato come dimensione pseudo
“eroica” della modernità stessa, che, “consapevole” – mah … -, si fa “duramente” carico dell’ avventura della modernità, pur dura, e però esaltante:
più o meno queste le posizioni di
Cacciari, mutatis mutandis, sono
sempre state, pur con modifiche
varie, con vari “raggiustamenti”,
anche radicali, di tiro. La cosa non
convince qualora ci si chieda: e chi sono
i nostri interlocutori? A chi si parla, oggi? A nessuno. A “tutti”, dunque a nessuno.
La
non più esaltante “avventura” – o disavventura” … – della modernità,
mettiamola così …
Non ci sono, di più,
non ci possono essere interlocutori se non individuali, non “pubblici”. E ma
questo silenzio, ed annulla ogni non solo democrazia, giustamente criticata in
questo nell’ultimo libro, cui s’è fatto riferimento qui su, di Calasso, ma della modernità tutta intera.
Se non partiamo – solo partiamo – da questa banale
consapevolezza – banale,
sottolineo ma non sovrascrivo -, non andiamo d’alcuna parte. Questo può
esser solo datum di partenza, giammai di arrivo, con logica
informatica di “if then”, if quest’affermazione è dato di
partenza, then tutto il resto.
Certo che uno può
continuare nella pantomima della
politica presente, che è “un gioco di simulazioni
con effetti collaterali”, le “decisioni” cosiddette.
Chiaro che le destre
siano favorite in un gioco autoreferenziale del genere, ma le sinistre
sinistrate, pur prendendo calci nel didietro a ripetizione, mai che si chiedano
il perché sono così residuali ed inefficaci e nulli, in una parola.
Stan peggio, dunque,
delle destre, le quali si limitano ad approfittare della situazione, in modo
semplicemente pragmatico. “Finché dura”, pensano. Quanto alle sinistre, se non
penseranno mai: “Perché non funziona”, pensassero almeno: “Perché, allora, il
gioco ‘a quelli lì’ gli dura così a lungo, mentre a noi ci dura così poco”, non
sono in grado di fare nemmeno
questo pur banale, molto
pragmatico ragionamento.
E
qui ci fermiamo, chi sia interessato cerchi da se stesso.
Se non vi è interessato,
nessun problema, infatti, viviamo
nell’epoca in cui si è “sottoposti al mugugno di ogni stolto”, per dirla con l’
Enrico V di Shakespeare. “I fiumi
sono in piena” (Battiato) “informaticamente” – dentro quel “flusso” che chiamo
anche l’ “emulsione” – tanto più i fiumi corporei e fisici sono spesso in secca
…
Ultima breve
annotazione: che cos’è
“rivoluzionario”.
Rivoluzionario è tutto ciò che impone – non si
limita, dunque, a porlo, l’ impone – il limite, o un limite.
Lutero che, facendo
appello alla sua coscienza, pone un limite alle possibilità di risoluzione
della crisi, in atto di là di lui
stesso, per cause che vanno ben oltre
lo stesso Lutero, ma impone un limes.
Non si può discutere oltre, né continuare con una mera contrapposizione statica. Poi Lutero si sarebbe pentito,
si sa – ed anche Lenin! E più d’una volta -, ma mai nessuno dei due rimise in
questione quanto fatto, e questo è decisivo …! E cioè, il limes, poroso, passeggero, mutevole, ma, insieme, fisso.
Che differenza con
oggi: oggi le contrapposizioni possono durare senza un termine fisso. Il caso
catalano, fra degli altri, è paradigmatico, pure le lotte in Medio Oriente,
perenni, senza fine, son altro esempio di situazioni virtualmente illimitate,
come lo sviluppo della tecnica, virtualmente,
chiaro. Un po’ tutto funziona così,
oggi, perché i “bordi”, i confini,
son saltati. E’ sempre un confine
labile, liquido, impreciso alla radice.
Skildir ro klofnir, diceva la Völva,
la Sybilla del Nord, “Gli scudi (come in inglese, “shield”) son rotti”, i limiti, ovvero i confini sociali, che
fra gli antichi Etruschi Giove stesso (chiamato “Tinia”, oppure “Tin”,
e, secondo alcuni, la “tigna” deriverebbe dal nome che gli Etruschi davano a
Giove) aveva tracciato i “confini”, sacri,
sulla Terra …
Tutto il mondo “tradizionale” si basava sui confini. Ma
questo discorso ci porterebbe lontano: torniamo
a noi.
In modo analogo la
Rivoluzione russa: pone un limite. Un limite “invalicabile”, ma storicamente
parlando, non certo in modo “tradizionale”, però è stato un evento storico del
tipo che “pone limiti” all’espansione di un determinato sistema, li ha posti
male, in modo fallimentare, e quel che vogliamo noi, però ha seguito
quest’onda, questa direzione. E cioè come s’ immaginava che il limes antico
romano fosse, ma che, oggi si sa, non era, in quanto era un limite
“poroso”. Tra l’altro, in un’intervista all’autore di un libro appena uscito
sulla Rivoluzione russa, si legge: “Quella del 1917 fu in realtà la più grande rivoluzione plebea della
storia dell’umanità, nella quale decine di milioni di persone si sollevarono e
insorsero nelle campagne. Ma non ebbe
niente di socialista”[16].
Dunque Mao non fu come un fungo nato dopo la pioggia, invece capì – consapevolmente – quel che implicitamente c’era nella Rivoluzione d’Ottobre:
che se non hai il consenso delle masse di contadini e non ridistribuisci le
terre, puoi far tutti i “colpi di mano” in “style”
bolscevico che vuoi, alla fine non vai da
nessuna parte. La rivoluzione deve
aver consenso per, poi, potersi
attuare “militarmente”, questo punto è decisivo, e sempre si ama
dimenticarlo.
Diciamo che, alla fine,
vinse Stalin e Lenin fu un “perdente di genio”, un gran tattico, ma un non buon
stratega. L’idea del “colpo d’Ottobre” – col consenso, soprattutto dei
contadini …!! – fu di Lenin, e solo sua. Di Trockij [Trotzky] fu invece la
messa in opera, la “tecnica del colpo di stato” (Malaparte). Chi ne beneficò,
alla fine, fu però Stalin. Stalin
+ SS = Hitler[17].
Ambiziosissimi ambedue, avevano,
in sostanza, lo stesso modello di
stato[18],
più o meno, il
controllo totale; e tuttavia mancava, però, a Stalin l’idea “diabolica” delle
“SS”, la “nuova religione” che Hitler voleva fondare: “Ho fondato un ordine”,
confidò a Rauschning[19].
Qui, su questo ed in questo punto, sta la
vera differenza tra i due. Di nuovo qui, su questo punto specifico, in tanti, poi, non capirono – ma non
tutti … – la vera sfida[20].
Anche i “limiti” della
storia lo sono, però. Porosi, e spesso un po’ rosi … Nessuna rivoluzione potrà, però, mai cambiare certe costanti. Il cambiamento cosiddetto ex abrupto
spesso poi però ritorna in certe correnti “di lungo periodo”, mentre, al
contrario, non va sottovalutato quel cambiamento costante che, spesso non
visto, a volte mina le strutture istituzionali, e si attua pian piano, nel corso del “lungo periodo” stesso.
Occorre però, a questo
punto, che si abbia un’idea chiara e precisa di quel che fa riferimento
all’esperienza umana di ogni epoca – le “costanti” –, e quanto, invece, si
riferisce ad un’epoca specifica, per non commettere i soliti errori,
comunissimi peraltro, di proiettare quel ch’è valido in un determinato momento
su “tutte” le epoche, classico errore palese che si usa commettere a riguardo
del Medioevo. Affermazioni del tipo: “Mi piace il Medioevo, ma ‘non ci vivrei’”
non solo attestano l’illusione di poter “scegliere” la “propria” epoca – cosa palesemente impossibile –, ma pure il
non aver fatto il benché minimo passo per venir fuori dai pregiudizi della propria epoca.
Ogni
epoca,
infatti, ha come una sua “cifra”, una serie di ritornelli dati per scontati, ma
che non lo sono per niente.
Si faccia un passo
fuori certe cose date per scontate nell’epoca in cui si vive. Solo dopo si
potrà pensare alle altre epoche, in esse riconoscendo altre cose che, in quel
momento, erano date per scontate, ma che scontate non sono per nulla: sono, ed
erano, dei portati storici. Dietro tutto questo, vi sono le costanti della
natura umana, ma occorre distinguere ben chiaramente tra i due strata.
“31 luglio del 1941. Lo
zelo di certe popolazioni locali nell’uccidere gli ebrei turbava non poco il
sonno di alcuni reparti del Servizio di Sicurezza germanico (SD), che prendeva
nota dei fatti nei sui rapporti: ‘I rumeni procedono in maniera estremamente
caotica nei confronti degli ebrei. Contro le numerosissime fucilazioni di ebrei
non ci sarebbe niente da obiettare, se la preparazione tecnica e l’attuazione
non fossero del tutto inadeguate. I rumeni lasciano i giustiziati per lo più
sul luogo, senza seppellirli. Il comando operativo ha sollecitato la polizia
rumena a procedere in maniera più sistematica in questo senso”[21].
“Non risulta che l’imperatore
della Cina rimanesse molto impressionato dalla numerazione binaria. E tacque. La
risposta cinese alla mossa di Leibniz si manifestò due secoli dopo, attraverso
l’intelligenza extraterritoriale di Réné Guénon: ‘Ci pare di vedere il sorriso
dei Cinesi davanti a questa interpretazione piuttosto puerile, la quale,
anziché suggerire “un’idea elevata della scienza europea”, gliene faceva
esattamente valutare la portata. La verità è che i Cinesi non hanno mai “perduto
il significato”, o meglio i significati, di questi simboli; semplicemente non
si sentivano obbligati a spiegarli al primo venuto, soprattutto se lo
ritenevano fatica sprecata, e in fondo Leibniz, parlando di “non so quali
significati lontani”, confessa di non capire nulla. Son questi significati, conservati
con cura nella tradizione (che i commentari non fanno che seguire fedelmente),
a costituire la “vera spiegazione”, e non hanno nulla di “mistico”; ma quale migliore
prova d’incomprensione del prendere simboli metafisici per “caratteri puramente
numerici”? Simboli metafisici: ecco che cosa essenzialmente i “trigrammi” e gli
“esagrammi”, una rappresentazione sintetica di teorie che possono avere sviluppi
illimitati oltre che adattamenti molteplici se, invece di rimanere nella sfera
dei princìpi, vengono applicati a questo o a quell’ambito determinato. Leibniz si
sarebbe molto stupito se gli fosse stato detto che anche la sua interpretazione
aritmetica trovava posto tra i significati che respingeva senza conoscere, ma
solo a un livello subordinato e accessorio; la sua interpretazione, infatti,
non è di per sé falsa, è compatibile con tutte le altre, ma è totalmente
incompleto e insufficiente, e presa isolatamente è riva di significato; essa
presenta qualche interesse soltanto grazie alla corrispondenza analogica che
collega significati inferiori al senso
superiore, in base a ciò che abbiamo detto sulla natura delle “scienze
tradizionali”. Il senso superiore è il senso metafisico puro il resto sono solo
applicazioni varie, più o meno importanti, ma sempre contingenti”.
Su
queste ‘applicazioni
varie’ si fonda il funzionamento del mondo, in Occidente come in Cina, tre secoli dopo Leibniz”[22].
Andrea A.
Ianniello
[1][א]
J. Dicker, La tigre, Rizzoli Libri / Bompiani, Milano 2016, p. 5.
[2][ב]
Ivi, pp. 55-56. In effetti, proprio
la lotta contro la vecchia “tigre” zarista è stata la fase “eroica” della
Rivoluzione presto rientrata nelle dinamiche di potenza vecchio style. Questo non
toglie che il fallimento anche di queste forme “riviste” abbia consegnato il
mondo ad un unico modello, a sua volta in crisi, ma che si perpetua
potenzialmente senza fine, in quanto non si vede alcuna, seppur vaga, alternativa.
Quindi gravissime responsabilità, anch’io valuto negativamente quegli eventi,
ma per ragioni molto, ma molto
diverse da quelle attualmente dominanti.
Interessante
che, al posto della tigre di questo testo appena citato, di solito la Russia sia
simbolizzata dall’orso, animale negativo – ma non quanto il lupo – del
simbolismo cristiano, mentre nel mondo germanico la si pensava ben
diversamente: “Presso i Germani, l’orso non era soltanto il re della foresta e
del bestiario, era l’animale totemico per
eccellenza”, M, Pastoureau, L’orso. Storia di un re decaduto, Einaudi
editore, Torino 2008, p. 40, corsivi miei. Attesta, tra l’altro, Ammiano
Marcellino, che la lotta iniziatica con l’orso era fondamentale, tra i Goti,
per poter passare all’età adulta, cf.
ibid. Guénon ci ha ammaestrato sul simbolismo dell’orso e sul suo significato, anche nell’ambito delle relazioni, a
volte conflittuali, fra il sacerdozio e la casta guerriera. Inoltre, l’orso è sempre stato simbolo dei Germani
come l’ orsa lo è stata dei Celti, cf. R. Alleau, Le origini occulte del Nazismo, il Terzo
Reich e le società segrete, Edizioni Mediterranee, Roma 1989, pp. 54-57. Come
questo simbolo dell’orso sia passato alla Russia, rientra nel senso – davvero antichissimo – dell’orso, animale che, particolarmente
guerriero per i popoli germanici, era
tuttavia l’animale della foresta per tutti
i popoli del Nord; questa sarebbe anche un’interessante pista da seguire, per
chi vi fosse interessato.
Vediamo il
simbolo dell’orso anche nel Ver sacrum,
questo rito molto antica ed interessante, usanza, però, che “non era limitata
all’Italia sabella. Livio sostiene che i Celti della Gallia Cisalpina
celebravano un rito molto simile e fornisce i particolari di un Ver sacrum cui i Romani fecero ricorso
in seguito alla crisi causata dall’invasione della penisola da parte di
Annibale”, E. T. Salmon, Il Sannio e i Sanniti, Einaudi editore,
Torino 1985, p. 37, corsivi in originale. I bambini nati nella primavera di un
certo anno erano dedicati a Mamerte, il Marte sabello, cioè osco, e non erano “sacrificati” nel senso di uccisi – ovvero “immolati” –, ma, invece, “avevano
l’obbligo di lasciare la loro tribù e cercare nuovi boschi e pascoli sotto la guida
di un animale sacro alla divinità, l’animale-guida poteva essere un toro, un lupo,
un picchio, un orso o forse un cervo,
e il gruppo emigrante si stabiliva nel punto che pensava l’animale avesse
indicato”, ivi, pp. 37-38, corsivi
miei. Sia detto en passant, ma la gens Pontia, quella di Ponzio Telesino –
che invano consigliò il comandante sannita alle Forche Caudine (321 a.C.), la
cui esatta ubicazione rimane oggetto
di controversia ancor oggi –, stirpe
sannita, ebbe un importante rappresentante: Ponzio Pilato, sì, lui même. Rimase comunque ben poco dei
Sanniti, la cui lingua, l’osco, “continuò ad essere abbastanza usata in età
augustea. Gli scoliasti credono che i bilingues
Canusini di Orazio, come i Bruzi, parlassero osco e greco”, ivi, p. 400, corsivi in originale. Per
“Bruzio” si deve intendere la gran parte dell’odierna Calabria, tranne la parte
meridionale, e la cui città più importante era Cosentia. Dei Sanniti, comunque,
quel che più è rimasto, come per i Longobardi, fenomeno simile ma, ovviamente, non identico, il reticolo dei toponimi, che costellano la zona appenninica, come Isernia,
oppure Benevento, la stessa Telese, od altri ancora: “‘Sanniti’ ricorre come
espressione geografica nella riorganizzazione operata da Diocleziano del mondo
romano e in documenti del iv e v secolo; e anche un’occasionale lettura
di Procopio mostra il termine ancora in uso nel iv
secolo. Dal resto, in seguito, per lungo tempo i principi longobardi del Ducato
di Benevento assunsero orgogliosamente il titolo di Dux Samnitium”, ivi, pp. 402-403, corsivi in originale.
Interessante qui,
però, è il sottolineare come l’orso appenninico, la sottospecie dell’orso
bruno, l’ Ursus marsicanus, in effetti, sia meno
aggressivo di quello alpino ed
abbia, conseguentemente, avuto un destino differente
dall’orso bruno alpino: quest’ultimo
è stato ucciso quasi del tutto, mentre l’orso marsicano – che è, come s’è
detto, un orso bruno comunque -, sia
riuscito a convivere, pur con molti
problemi, con le genti locali.
[3][ג]
Fun Chang, Usa ciò che sei, Edizioni Arista, Torino 1989, senza indicazione di pagina, significativa la data di
pubblicazione, però. “Gran parte della saggezza e della conoscenza consiste
nello smettere di voler trasformare la gente in ciò che non è, ma
nell’accettare ciò che è, nel comprendere la sua esperienza di vita”, ivi, senza indicazione di pagina. Chiaramente,
ciò non significa che ci si debba
far “imprigionare” dall’altrui visione o esperienza di vita, se si
vede di più: sarebbe sbagliatissimo
farlo. A sua volta, ciò non significa
pretendere che gli altri siano diversi da come sono effettivamente.
[4][ד]
G. Agamben, Il mistero del male. Benedetto XVI e la fine dei tempi, Laterza
& Figli, Roma-Bari 2013, pp. 7-8. Sul katechon,
l’autore citato presenta sia l’idea che sia l’Impero, sia che sia la Chiesa, e
cita Schmitt, cf. ivi, p. 13: le due cose, tra l’altro, non si escludono necessariamente … Comunque, su questi temi è qui del
tutto impossibile approfondire, occuperebbe troppo tempo; qualche “flash” lo si
può leggere in un altro post, cf.
Una
considerazione sul pensiero cosiddetto “reazionario”, anch’esso in cattive
acque come le “sinistre” – ma non certo le destre politiche -, perché ambedue
fan riferimento ad una “sostanza”,
che sia “verso l’Alto” o che sia “verso il Basso”, mentre il “secolarismo” radicale rifiuta
di far riferimento a qualsiasi
sostanza essa sia, ma si accontenta o di regole,
cioè di formalismi, oppure di pragmatismo, dove le destre, di solito,
eccellono.
E così, questa
fase sistemica è rappresentata in modo costitutivo dalle destre, che tanto
starnazzano contro immigrati, e cose del genere, esse sono la vuota espressione dell’attuale fase sistemica. Ovviamente il sistema è
pronto a buttarle a mare, se gli servirà. Ma ai membri delle destre politiche
non importa, per loro conta solo il risultato quanto alle sinistre, sinistrate
mentalmente, o diventan destre “moderate”, il formalismo democratico, la “meritocrazia”
ecc., ecc., oppure non esistono = non esiste alcuna sinistra. Non può esistere.
[5][ה]
R. Calasso, L’innominabile presente, Adelphi Edizioni, Milano 2017, p. 69. La
frase qui citata viene da La Rovina di
Kasch, il libro dello stesso Calasso, del lontano 1983. Una recensione di quest’ultimo libro di Calasso è qui, cf.
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2017/10/in-margine-ad-unanticipazione.html.
La frase, poi, è riportata qui, con le ovvie, inevitabili, ineliminabili e
necessarie indicazioni sulla loro fonte, cf.
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2013/12/che-cosa-e-la-democrazia.html.
Interessante quest’osservazione di G. Pintor, che è testimone della
dichiarazione di guerra di Mussolini a Piazza Venezia: “noi stavamo accucciati
in un angolo in mezzo a quel curioso popolo di Roma che litiga e ride nelle
circostanze più gravi”, in R. Calasso,
L’innominabile presente, cit., p. 125.
Verissimo, questo è un fatto tipicamente
romano: questo è anzi, forse, l’unico tratto residuale che lega l’antica Roma
con il presente. Non è rimasto altro, in realtà. Viviamo tra rovine mute. Il passato non parla al presente:
per questo l’Occidente è morto, è un cadavere. Il massimo cui possono giungere
i nostri contemporanei è di usare le mute
rovine per farci soldi: accidenti che pensiero, probabilmente il
cervello gli si sarà fuso a furia di pensare la notte …
E così termina,
in modo significativo, il libro di Calasso: “In un foglietto isolato, non
databile, oggi alla Biblioteca Jacques Doucet, Baudelaire ha raccontato il
crollo di una immensa torre, che un giorno si sarebbe chiamata grattacielo.
Provava un senso d’impotenza perché non riusciva a trasmettere la notizia alla
‘gente’, alle ‘nazioni’. Così dove contentarsi di sussurrarla ai ‘più
intelligenti’. Ma anche il sussurro dovette aspettare più di un secolo per
essere stampato. E nessuno lo notò. Le ‘nazioni’ non fecero in tempo ad
accorgersi di che cosa le attendeva. Era tutto accaduto in sogno, in uno di
quei sogni a cui Baudelaire era avvezzo […]: ‘Sintomi di rovina. Edifici
immensi. Numerosi, uno sull’altro, appartamenti, camere, templi, gallerie, scale, budelli, belvedere, lanterne, fontane statue.
– Fenditure, crepe. Umidità che proviene
da una cisterna situata vicino al cielo. – Come avvertire la gente, le
nazioni –? avvertiamo in un orecchio i più intelligenti. In cima, una colonna
cede e le due estremità si spostano. Ancora non è crollato nulla. Non riesco
più a ritrovare l’uscita. Scendo, poi risalgo. Una torre-labirinto. Abito
per sempre un edificio che sta per crollare, un edificio intaccato da una malattia segreta. – Calcolo, dentro di
me, per divertirmi, se una massa così prodigiosa di pietre, marmi, statue, muri
che stanno per cozzare fra loro saranno molto imbrattati dalla gran quantità di
materia cerebrale, di carne umana e di ossa sbriciolate’. Quando la ‘notizia’
di questo sogno giunse alle ‘nazioni’, tutto corrispondeva, con una sola
aggiunta: le torri erano due – e gemelle”, ivi,
pp. 163-164, corsivi in originale.
[6][ו]
Ivi, cit., p. 45, corsivi in
originale. E venne il momento in cui i secolaristi si ribellarono. Si accorsero
che non erano soli. E che non occupavano tutto il mondo. Le procedure si
applicavano ovunque, ma i secolaristi vivevano solo in una certa parte del
pianeta – e neppure la maggior parte.
Si sentirono improvvisamente assediati da stranieri,
che chiamavano migranti. I quali
volevano usare le loro procedure, ma continuavano a guardarli con l’occhi
infido di chi si sente altrove. Già vederli circolare nelle strade più
familiari instillava una sensazione d’inquietudine. Forse ”, ivi, p. 46, corsivi in originale.
“Con l’Islam è
finita l’èra delle religioni. Maometto si presentava come ‘Sigillo dei
Profeti’. Da allora, nascono solo scismi. O sette e culti, che si moltiplicano.
Intanto, sempre più evidente e corrosivo opera il tarlo della secolarizzazione,
presente fin dagli inizi. Più o meno mimetizzato, si lasciava già riconoscere in
ogni cosmogonia.. ma che cos’accade quando la linfa religiosa non scorre più?
Impera il pensiero secolare. Che però è insufficiente, inadeguato anche
rispetto ai fatti elementari della vita. Alla lunga, nei secolaristi si crea un
risentimento, anche violento, verso la secolarità stessa. Allora torna
l’attrazione verso le sette, che almeno offrono un sostegno saldo. O verso
principi rudimentali e scomposte misure di autodifesa [i vari, cosiddetti,
“integralismi” d’ogni religione questo
sono, alla fin fine; nota mia]. Abbandonato a se stesso, il mondo secolare
non offre sicurezze, ma probabilità. La scienza è un mondo a parte, abitato da
pochi abitanti [anche la “scienza”
storica …, nota mia]. E non ha
sviluppato criteri di comportamento rigorosamente fondati, se non un
atteggiamento di generica fiducia verso la scienza stessa. Appena usciti dai
loro laboratori, […] anche soltanto mentali, gli appartenenti alla scienza si
trovano nella stessa situazione degli altri esseri secolari e spesso parlano
come sprovveduti. Ciò che tiene insieme il tutto è il funzionamento delle
protesi. Incessante, molto più potente di ogni azione umana, quel funzionamento
è il rumore di fondo di ogni pensiero. Testimonia che l’insieme delle protesi
sta procedendo e protegge i suoi propagatori come ospiti innocui e spesso
irrilevanti”, ivi, pp. 47-48. Questo
“tarlo della secolarizzazione presente sin dagl’inizi”: qui Calasso riecheggia
Guénon, in modo molto evidente – per chi conosca (davvero) l’opera di Guénon e non viva di rimaneggiamenti o falsi
culti -, e applica le sue meditazioni
sul sacrificio. Nell’allusione alla
“cosmogonia”: qui applica il noto libro di G. De Santillana e H. von Dechend.
Alla cosiddetta “materia”
degli “illuministi” – che oggi nessuno sa più bene cosa sia o fosse -, si è
tentato di sostituire la cosiddetta “evoluzione” per fondare il “secolarismo”, cf., ivi,
pp. 53-54. Ma la cosiddetta “evoluzione” si sta rivelando solo poco, molto
poco, troppo poco più convincente della “materia”, il cui concetto si è
frammentato irreversibilmente. Se tutto va velocissimo, che cosa n’è dell’
“evoluzione”? anch’essa si trasforma in pulviscolo? Sì.
[7][ז]
Ivi, p. 76.
[8][ח]
Ivi, p. 40. Questo passo richiede un
commento, di cui mi scuso, ma è necessario. Come può qualcosa di senza
contenuto appagare?? Domanda retorica. Quanto ai “preziosi rimasugli”, non
siamo per caso dove siamo né la “crisi della democrazia” c’è per caso, o si può
risolvere continuando nella via solo formale ch’essa, inevitabilmente, doveva
prendere, quando fosse andata oltre un certo punto del suo sviluppo. Dunque, voler
preservare i “preziosi rimasugli” non vuol dire nulla, in ordine alla
risoluzione del problema, seppur è verissimo
che la fixe della dis-mediazione si
rivela, senz’altro, cosa funesta.
[9][ט]
Ivi, pp. 55-56, corsivi in originale.
[10][י]
Ivi, p. 90, corsivi in originale. Il riferimento
qui è a W. Benjamin, Sull’hascisch, Einaudi editore, Torino
1975.
[11][כ]
Ivi, p. 38, corsivi miei. “E mai come
per il paragrafo finale: ‘La Rivoluzione russa, nato da un movimento di rivolta
contro la guerra, si è consolidata, organizzata nelle forme del “comunismo di
guerra” durante i due anni di guerra con gli eserciti alleati che vanno dalla
pace di Brest-Litovsk alla vittoria definitiva delle armate sovietiche nel
1920. Un tratto nuovo si aggiunge qui a quelli che abbiamo già definito. A causa
del crollo anarchico, della totale scomparsa dello Stato, un gruppo di uomini
armati, animati da una fede comune, ha decretato che esso stesso era lo Stato:
il sovietismo, in tale forma, è, alla lettera, un “fascismo”’. Senza bisogno di
ricorrere a ponderose teorizzazioni sul totalitarismo – e senza neppure aver
bisogno di usare la parola –, Halévy aveva individuato, nella sua breve
comunicazione, i due tratti che univano con legame inscalfibile ciò che stava
accadendo in Russia, in Germania e in Italia. Innanzitutto la presenza di
‘minoranze operanti’ (formula di Mauss) insediate all’interno di un partito,
che diventa istanza ultima e unico attor efficace (lo Stato, a questo punto,
era solo la copertura). Potevano chiamarsi ‘avanguardie rivoluzionarie’ o
‘fasci di combattimento’ o SS o SA. In ogni caso erano il luogo stesso delle
decisioni effettive, delle quali non si doveva rendere conto a nessuno”, ivi, pp. 113-114. Poi, le “minoranze
operanti” sono sparite: allora, e solo
allora, il “mondo moderno” è divenuto unitas
“operante”; allora, e solo allora, è nata la “Grande Prostituta”,
il System della “Grande Prostituta”, di Babylonia
…
[12][ל]
Ivi, p. 99, corsivo in originale.
[13][מ]
R. Calasso, L’innominabile presente, cit., pp. 43-44, corsivi in originale. Questo
problema della sovranità ci porterebbe lontano. Per ora, restringiamolo al
dovere individuale d’agire, nel qual caso, però, è vero che: “Tutte le decisioni importanti devono essere
prese sulla base di dati insufficienti”, S. B. Kopp, Se incontri il Buddha per strada uccidilo. Il pellegrinaggio del
paziente e dello psicoterapeuta, Casa Editrice Astrolabio, Roma 1974, p. 198,
corsivi miei.
[14][נ]
La citazione che si riporterà è di trent’anni fa, e proviene da acque non pure.
La cosa strana è che ancor oggi, non i “devianti” lo percepiscano, ma che i
“non devianti” non lo percepiscano
…! Questa è la cosa ben triste! “Vi
dirò che il distacco è senz’altro la più grande lezione che le vostre civiltà
occidentali devono assimilare; verrà un
tempo in cui i popoli europei e nordamericani non avranno maggior influenza
sulla superficie del globo d’un pugno di nomadi, e questo non è l’ annuncio di un cataclisma: attenzione, mi
limito a sottolineare per voi una grande verità, ovvero che nessuna
potenza o pretesa tale può resistere alle inevitabili leggi della mutazione.
Le civiltà sono come gli uomini e impiegano un veicolo che le porta fino ad un certo punto: una volta raggiunto questo punto, una volta che le energie
sono sature o esaurite, viene dato loro un altro veicolo, a volte meno sontuoso, ma comunque altrettanto
efficace per crescere … […] Non pensiate però che giochiamo ai dadi o che ci
accontentiamo di far applicare la semplice legge degli equilibri e delle
alternanze: noi non decidiamo nulla, […] ma facilitiamo la messa in atto di ciò
che è già realizzato da qualche parte, nel cuore del Senza Nome. So che è
difficile acquisire questa nozione: come si può aiutare l realizzazione di ciò
che è già compiuto? Quando possiederete la chiave di questo apparente enigma,
avrete già salito molti gradini”, A. e M. Merois-Givaudan,
Viaggio a Shamballah, Edizioni
Arista, Giaveno (TO) 1987, pp. 124-125,
corsivi miei. Si vede che sono cose devianti per le interpretazioni che
seguono, non per aver osservato quanto appena citato. Ho però notato come certe
cose fossero dette più apertamente in altra epoca, come se, avvicinandoci alla
Grande Crisi, si avesse crescentemente paura di vederla, reazione che fa parte
dell’ “umano troppo umano”, e che, tuttavia, non fa che rafforzare lo stato
critico. Ma riflettiamo ancora un po’ su questo punto, su quest’esplicitezza
minore, man mano che ci si avvicina al “punto d’indecidibilità”, come lo
chiamo, dove nessun’azione può aver effetto, nessuna forma intervento può più
cambiare la traiettoria che diventa, quindi, totalmente
– non più parzialmente – inerziale.
Questo discordo,
infatti, va messo a confronto con degli argomenti dei quali si tratta da tempo,
il cosiddetto “Medioevo prossimo venturo”, che, poi, è già venuto, solo che non
era quel che chi, all’epoca, lo denunciava, credeva fosse: ma non è sempre così … ? Ma quando mai si
ottiene ciò che ci si aspetta nella forma
in cui lo si aspettava? Lo si ottiene, sì, ma non nella forma che ci si
sarebbe aspettato quando s’intravvedeva, in tempi lontani ormai, quel che
doveva poi avvenire, ed è venuto, ma, di nuovo giova ripeterlo, non nella forma che poi ha preso. Su
questo tema del “Medioevo prossimo venturo”, non
per caso, ci son post in questo stesso blog, cf.
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/03/nuovo-medioevo-tuttaltro-che-nuovo.html.
Dunque, tutto è stato già detto, ma
il “fatto” – vale a dire la loro realizzazione – spesso è ben diverso dal concepito ed ancor più
lo è dall’ immaginato, e cioè le
cose raramente vengono come ce le
si aspetta; e tuttavia pure avvengono
… A questo divertiamoci un po’,
con le solite predizioni errate,
ma errate perché partono da un dato di partenza errato. Per fare un esempio,
ecco un link, in francese, cf.
https://2017dieusauve.wordpress.com/2017/09/02/5-octobre-2017-le-grand-signe-du-dragon-rouge/.
Ebbene, il 13 ottobre ci consta che nessuna delle cose “pre-dette” –
pre-desiderate, direi … -, sia successa … Non vi è dubbio che il mondo non sia
mai stato distrutto a ripetizione più e più volte d quando è preda di
un’inerzia sistemica terrificante, che è il vero problema, che è la vera
“Apocalisse”!! Ma non eludiamo il punto: dov’è il punto di partenza, molto sbagliato,
di tutta questa gente qui, che non imparerà mai, che non capirà mai, perché
preda di un’ idée fixe?? Che il
modello è – sempre – la “lotta contro il ‘comunismo’”, che sarà stata pure una
battaglia storica importantissima, ma che è uno schema trapassato, in tutti i
sensi. Anzi, è stata proprio la fine del “comunismo” ad aprire la porta alla
fine del mondo moderno, il contrario di quello che questa gente continua a
pensare. Personalmente, ho sempre pensato che la fine del comunismo come
sistema avrebbe reso il mondo più instabile in quanto il modello “democratista”
occidentale non poteva applicarsi dovunque; su questa base si costruiva l’idea
che la Russia sarebbe tornata ad essere centrale, ma non certo in modo
“democratico”, cosa che pure ho scritto, cf.
http://associazionefederigoiisvevia.wordpress.com/2014/03/05/il-libretto-nero-il-caffe-30-dicembre-2003-anno-vi-n-48-274/.
Ma è stato parlare ai muri.
E finché qua, in
“Occidente demente”, ci starà gente che ha in testa una situazione che – da
molto e molto tempo, ormai – non esiste più, noi non potremo che andare di male in peggio. Questi ottusi
dementi, sostenuti da “certe” forze, che han sempre voluto, ed oggi ottenuto, l’indebolimento
dell’Occidente dal suo interno, bloccano qualsiasi cambiamento.
[16][ע]
“Focus” n.153 del novembre 2017, intervista a E. Cinnerella, p. 30, corsivi
miei. Ovviamente poi Cinnerella parla contro la “rozza dottrina” bolscevica, ma
quel che ha detto è verissimo ed
impone una riconsiderazione.
[17][פ]
Semplifichiamo molto qui, ma la
battuta ha un suo lato “efficace”.
[18][צ]
In sostanza, così è stato, orientato in direzioni opposte, ma il modello di
fondo è stato molto simile.
[19][ק]
R. Calasso, L’innominabile presente, cit., p. 121 e sgg. Gli occhi di Hitler,
gli “occhi dell’ipnotizzatore”, son
riportati da Calasso in un ricordo di Brasillach, che in quegli anni viaggiava
in Germania: cf., ivi, pp. 120-121. Ci sarebbe molto di più da dire, a tal proposito,
ma cito questo fatto solo en passant.
[20][ר]
Fra di loro, senza dubbio, Churchill, e, a suo modo, S. Weil, cf., ivi,
p. 129. Anche Gide, per fare un altro esempio, ed anche da un altro punto di vista, eppure capì: cf., ivi,
pp. 129-130.
[21][ש]
R. Calasso, L’innominabile presente, cit., p. 137. Si parla pure dell’eccidio di
Katyń, compiuto dall’Armata Rossa di Stalin contro qualche migliaio di
polacchi, soprattutto dell’esercito, ma non solo, cf. ivi, pp. 147-148; ma
la notizia, pur “golosamente” raccolta da Goebbels, che, ovviamente, vi vedeva
un’occasione da sfruttare per la propaganda, non fu però usata, in quanto l’esercito (tedesco) vi si oppose: “intanto
i militari tedeschi riescono ad evitare che appaiano nei cinegiornali le immagini
di Katyń. Troppo simili alle nostre – è il pensiero sottinteso”, ivi, p. 148.
[22][ת]
Ivi, pp. 73-74, corsivi miei. Va precisato
che Guénon apprezzava Leibniz, come
si vede, tra gli altri, da ceri passi contenuti in R. Guénon, La metafisica
del numero. Principi del calcolo infinitesimale, Arktos Oggero Editore, Carmagnola
(TO) 1990; su legame Leibniz-Rosacroce, cf.
ivi, pp. 5-6. Tra l’altro, alcuni
passi, anche in nota, del libro testé citato son utilissimi per comprender – davvero – Id., Il Regno della Quantità.
Di conseguenza, il passo citato è meno
una critica a Leibniz che una critica rivolta dunque alla scienza europea tout court. Lo “scacco”
di ogni “tradizionalismo” sta, però,
proprio nelle ultime parole del
passo sopra citato di Calasso: “Su queste
‘applicazioni varie’ si fonda il funzionamento del mondo, in
Occidente come in Cina, tre secoli dopo
Leibniz” …
“La scoperta
capitale di Gödel è stata quella di dimostrare che certi problemi non potranno mai avere soluzione. Il punto è
individuare quali siano questi problemi. Che il primo fra tutti sia stato l’aritmetica
[il famoso problema dell’estrazione della radice quadrata di due, il problema dei
cosiddetti “irrazionali”, per esempio; nota mia] può anche esser inteso come
indicazione che si tratterà di questioni fondamentali [senza dubbio, nota mia].
E nulla è più fondamentale della morte”, ivi,
p. 78, corsivo in originale. Appunto, problemi senza soluzione. Uno è la morte, che la può risolver solo l’ “azione
‘diretta’ di Dio”, problema metastorico, e il secondo è l’uscita dal
frutto maturo, e inevitabilmente, necessariamente velenoso, della modernità, il System
della “Grande Prostituta di ‘Babylonia’”, problema di natura metapolitica.
RispondiEliminaAnche J. Evola accettava l’idea che Hitler fosse un medium …
RispondiEliminaVediamo questa scoperta della “camera nascosta” nella Grande Pyramide di Cheope – della quale han parlato verî auttori, sin anche dall’epoca araba – cose porterà, se porterà …
https://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/02/apocalisse-cap-16-leufrate-liraq-e-le.html
RispondiElimina“CL ~ Remember, Remember the 5th of November (Song inspired by V for Vendetta’s Guy Fawkes character) ~”
RispondiEliminahttps://www.youtube.com/watch?v=mwk9RIV7s54
“Remember Remember/ The fifth of November/ The gunpowder treason/ And plot/
I know of no reason/ Why this gunpowder treason/ Should ever be forgot”.
Signori occorre rendersi conto di ciò che ho sempre sostenuto: l’America, l’America è una **tigre di carta**. La sua forza non le viene mai da se stessa. Ed ora lo sta mostrando apertamente, anzi: tanto più tenta di sfuggirvi, tanto più vi precipita. E’ la situazione che dà il potere, e la situazione stessa, mutando nella sua **sostanza**, te lo toglie, come un telo tolto e spostato. Ma chi, oggi, avrà il potere: ecco ciò che conta. Non gli apparenti vincitori dalla rivelazione, “urbi et orbi”, dell’essere l’America, con e senza “kappa” ma senza né cappa né spada, una tigre di carta: questi stan facendo la “pars destruens”, ma questo è **altro** discorso.
Devi riconoscere la situazione, se vuoi quanto meno, avervi un ruolo attivo, e non meramente passivo. Ma questo è, oggi, nell’Occidente indecente, semplicemente divenuto impossibile. Che dico! Oggi! Nooo, lo è da circa vent’anni a questa parte … si sta solo raccogliendo ed accogliendo quanto seminato …
“Qualcuno ha detto che con la democrazia vien esteso a tutti il privilegio di accedere a cose che non sussistono più” (R. Calasso). Appunto, appunto ….
RispondiEliminaLo zarismo, **non** Nicola II, forse era l’ultima, ma ormai decaduta, tigre vera.
RispondiElimina