“Decisi di non rinunciare a nulla in nessun settore, di assumere sulla mia persona la prima e diretta responsabilità e di porre alla Camera dei Comuni la questione della fiducia. Mi ricordavo anche del saggio detto francese: «On ne règne sur les âmes que par le calme»”.
I grandi protagonisti della seconda guerra mondiale raccontati da Winston Churchill, a cura di G. B. Guerri, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1995, p. 13, corsivi in originale.
“«Mi pareva di procedere di pari passo con il destino, come se tutta la mia vita precedente fosse stata soltanto una preparazione a quest’ora e a questo cimento»”.
Ivi, p. 8, corsivi in originale.
“La “morale dell’opera” che volle, a grandi lettere, all’inizio di ogni volume della Storia della Seconda guerra mondiale, può esser considerato il suo testamento spirituale:
in guerra
decisione
nella disfatta
fermezza
nella vittoria
magnanimità
nella pace
buona volontà”.
Introduzione di G. B. Guerri a Le grandi battaglie della seconda guerra mondiale raccontate da Winston Churchill, a cura di G. B. Guerri, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1995, p. 11, corsivi in originale, grassetti miei.
“Il 17 giugno era giunta una notizia sensazionale. Nel pomeriggio Stmson si presentò nella mia abitazione e mi pose davanti un foglio di carta su cui stava scritto: “Bimbi nati in modo soddisfacente”. Dai suoi modi mi accorsi che era successo qualcosa di straordinario. «Vuol dire» commentò «che l’esperimento del deserto messicano è riuscito. La bomba atomica è una realtà.» Sebbene avessimo seguito questa terrificante ricerca con ogni brano d’informazione comunicatoci, non eravamo stati avvertiti, o almeno io non ero al corrente, della data della prova decisiva. Nessuno scienziato responsabile avrebbe predetto che cosa fosse per avvenire al collaudo della prima esplosione atomica in grande stile. Erano inutili queste bombe o erano annientatrici? Adesso lo sapevamo. I “bimbi” erano “nati in modo soddisfacente”. Nessuno poteva ancora misurare le immediate conseguenze militari della scoperta, e nessuno finora ne ha misurato altro. L’indomani mattina arrivò un aereo a portarci una piena descrizione di quest’evento terribile della storia umana. Il rapporto mi fu consegnato da Stimson. Riferisco il racconto così come me lo ricordo. La bomba, o il suo equivalente, era stata fatta esplodere in cima ad una torre alta trenta metri. Si era completamente sgomberato da ogni persona tutto il terreno circostante per 15 chilometri, e gli scienziati col relativo personale si accovacciarono pressappoco a quella distanza dietro massicci scudi di calcestruzzo. La vampata era stata spaventosa. Una colonna enorme di fiamme e fumo balzò all’orlo dell’atmosfera della nostra povera terra. La devastazione fu assoluta entro un raggio di di un chilometro e mezzo circa. Ecco dunque una rapida fine per la seconda guerra mondiale, e forse anche per molte altre cose”, W. CHURCHILL, La Storia della Seconda guerra mondiale, Vol. XII La cortina di ferro, Oscar Mondadori, Milano 1970, p. 325.
“Più intricata era la questione di che cosa dire a Stalin. […] A Teheran e Jalta egli aveva dato la sua parola che la Russia sovietica avrebbe attaccato il Giappone non appena sconfitto l’esercito tedesco, e in adempimento a ciò si era era andato svolgendo un movimento continuo di truppe russe verso l’Estremo Oriente. Secondo la nostra opinione, non ci sarebbe stata probabilità di doverle usare, e quindi il potere di contrattazione che Stalin aveva sfruttato facendolo pesare così efficacemente sugli americani a Jalta era sfumato. Pure, egli era stato un magnifico alleato nella guerra contro Hitler”, ivi, p. 327.
La “seconda guerra mondiale” in realtà era, per Churchill, “guerra contro Hitler” … non si può dirlo più chiaramente.
Ma continuiamo: si decide d’imporre la “resa incondizionata” al Giappone, mentre quest’ultimo aveva tentato di contattare Stalin per aver qualcosa, una resa con un qualche onore; Stalin non diede corso alla proposta giapponese non perché la consideri negativa, ma perché troppo generica, priva di proposte concrete.
Churchill – di fronte alla “resa incondizionata” –, a questo punto così continua: “Tuttavia mi soffermai su quello che sarebbe stato il prezzo tremendo in vite americana e in misura minore britanniche se avessimo imposto ai giapponesi una “resa incondizionata”. Stava a lui considerare se se ciò non si potesse formulare in qualche altro modo, sì da garantire a noi tutti i fondamenti essenziali della pace e della sicurezza futura, e in pari tempo a loro qualche vestigio di salvezza dell’onor militare e certezza d’esistenza nazionale, quando avessero ottemperato a tutte le salvaguardie necessarie ai vincitori. Il Presidente rispose chiaro e tondo che a suo modo di vedere i giapponesi non avevano più onore militare dopo Pearl Harbor. Mi accontentai d’osservare che comunque avevano qualcosa per cui erano pronti ad affrontare la morte in grandissimo numero, e ciò poteva non essere altrettanto importante per noi che per loro. Egli allora si fece quanto mai comprensivo, e parlò, come già Stimson, delle terribili responsabilità che pesavano sulle sue spalle […]. Io sentivo che non ci sarebbe stata rigida insistenza su una “resa incondizionata”, a parte quanto fosse necessario per la pace mondiale e la sicurezza futura e per la punizione d’un gesto criminoso e proditorio. Stimson, il generale Marshall e il Presidente stavano evidentemente frugando nel proprio cuore, e noi non avevamo alcun bisogno di far pressioni su di loro. Sapevamo senz’altro che i giapponesi eran pronti a cedere tutte le conquiste fatte in tempo di guerra. Infine si decise d’inviare un ultimatum che richiedeva l’immediata resa senza condizioni di tutte le forze armate del Giappone. Tal documento fu pubblicato il 26 luglio”, ivi, pp. 329-330. Vien riportato il documento di seguito.
“Queste condizioni furono rifiutate dai governanti militari del Giappone, e in conseguenza l’aviazione americana fece i suoi piani per sganciare una bomba atomica su Hiroshima e una su Nagasaki. Convenimmo di lasciare agli abitanti ogni possibilità di salvezza. La procedura fu sviluppata particolareggiatamente. Per ridurre al minimo le perdite umane undici città giapponesi furono avvertite il 27 luglio mediante lancio di volantini che sarebbero state state sottoposte ad intenso bombardamento aereo. L’indomani ne furono attaccate sei. Altre dodici furono avvertite il 31 luglio, e quattro furono bombardate il 1° agosto. L’ultimo avvertimento fu dato il 5 agosto. A tale data le “superfortezze” asserivano di aver lanciato ogni giorno un milione e mezzo di manifestini e tre milioni di copie dell’ultimatum. La prima bomba atomica non fu lanciata che il 6 agosto”, ivi, p. 332.
Come si sa, in luogo di Nagasaki – “seconda scelta” per così dire – era stata scelta Kokura, ma il tempo impedì di poter sganciare il secondo ordigno nucleare su Kokura, si parla infatti della “fortuna di Kokura” – e, di conseguenza, si optò per la seconda località, se Kokura non fosse stata “pronta” per la bomba: Nagasaki, appunto. Altra osservazione: l’ultimatum era un fatto politico, sul quale la gran parte della gente poco interesse poteva nutrire; quanto agli “avvertimenti” vari, essi erano relativi all’ “intenso bombardamento aereo” ma non li preparava – in alcun modo! – al “fatto” della “bomba atomica” – in sé stessa ben diversa da una semplice “bomba più forte” – o da un “intenso bombardamento aereo” pur sempre convenzionale!
Segue un passo sulle voci “critiche” in America stessa, cf. ivi, p. 33. Nella stessa pagina: la Russia comunque dichiarava guerra al Giappone, l’8 agosto, per durare solo un giorno di guerra, una delle più brevi a memoria storica. Serviva però alla Russia per entrare come belligerante contro il Giappone. Si noti però che, sino a quel momento, la Russia non aveva mai dichiarato guerra al Giappone …
Poi, così concludeva Churchill:
“Sarebbe erroneo supporre che il fato del Giappone fu sistemato dalla bomba atomica. La sua confitta era certa aventi che cadesse la prima bomba, e fu provocata da una soverchiante potenza navale.
Soltanto questo aveva reso possibile l’occupazione di basi insulari da cui sferrare l’attacco finale e costringere alla capitolazione l’esercito metropolitano. La marina era stata distrutta. Il Giappone era entrate in guerra con oltre cinque milioni e mezzo di tonnellate, poi molto aumentate da catture e da nuove costruzioni, ma il suo sistema di convogli e le sue scorte erano molto inadeguati e mal organizzati. Oltre otto milioni di e mezzo di tonnellate di naviglio giapponese furono affondate […]. Noi, Potenza insulare, che parimenti dipendiamo dal mare, possiamo imparare la lezione e capire quale sarebbe stato il nostro destino se non fossimo riusciti a vincere i sommergibili tedeschi”, ivi, p. 334, corsivi e grassetti miei.
Andrea A. Ianniello