Come detto su questo blog da vario tempo – ed anche sull’altro blog (*) –, che la crisi si sarebbe riverberata sul piano energetico per molti e svariati motivi, concordanti fra loro: la situazione dell’energia sta divenendo emergenziale.
Siamo entrati in una tale situazione. Dagli esiti possibili molto vari, nella forma, ma invece stabilissimi, nella sostanza.
Ci attende un “ripetita **non** juvant” proprio della crisi – allora solo petrolifera – della metà degli anni Settanta del secolo scorso? Con esiti diversi, chiaro …?
E’ interessante notare proprio allora iniziò la crisi dello stato liberale. Proprio in quel tempo – illo tempore – la rappresentanza cominciò a “far cilecca” e ad essere sempre meno “rappresentativa”. In seguito a quella crisi, il concetto stesso di “progetto” – politico – fu rimesso in questione, dallo stesso Cacciari (cf. M. CACCIARI, Progetto in “Laboratorio Politico”, Critica del progetto, anno I, n. 2, aprile-maggio 1981, Einaudi editore, p. 88 e sgg.; meriterebbe d’esser letto, e ci porterebbe a considerazioni troppo lunghe da svolgersi qui, anche causa caldo eccessivo). Ora lo stesso Cacciari – oggi – al contrario, si richiama (al progetto ed alla sua assenza nella politica contemporanea) come nucleo centrale della sua critica contro la politica attuale (cf. M. CACCIARI, “Stato di emergenza” in “L’Espresso” dell’ 8 agosto 2021, pp. 15-17).
Questa crisi dello stato non è mai finita da quando è sorta (dagli anni Settanta, per l’appunto, come si evince dalle analisi di Hopkins e Wallerstein, da me citate altrove, i quali vedevano nella fine del Gold Exchange Standard, voluta da Nixon, e nel primo shock petrolifero che, fra i suoi promotori, vide lo zio di Jamal Khashoggi, la fine dell’ “optimum” dello stato “neo keynesiano” post Seconda Guerra Mondiale e della classi medie “protette” dell’ “Occidente”); e la “risolvibilità” – solo temporanea – di tale crisi non è quella di una sua (dello stato cioè) riforma (questo concetto ricollega il Cacciari del 1981 con quello del 2021), bensì quella della “devoluzione” a strutture sempre più sovranazionali: si conferma così che la “via d’uscita”, solo apparente, non è quella di un rafforzamento dello stato liberale che, pian piano, diventerebbe sempre più “autoritario” cosiddetto.
Qui è la debolezza delle tesi di Cacciari. Si procede ad una serie di forzature – non illegali eh – del dettato costituzionale per rafforzare lo stato? Oppure per continuare in un riallineamento dentro un “ordine” che è stato, di fatto, imposto nella situazione, non per vie “legali”, per cui la critica di tipo “legale” non “morde” a situazione, situandosi su di un piano sostanzialmente passato?
La seconda che ho detto.
In tal caso, però, quali possono essere i “veri” fini di un tal “lavoro” che, non cominciato certo quest’oggi, bensì alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, quest’oggi giunge al suo compimento? Lo scopo non è certo né “green pass”, che attenterebbero alla “libertà”, né la “vaccinazione come Hitler”, totale assurdità, dove ormai si usa “Hitler” come uno spauracchio d’agitare per spaventare i bambini. Vi è dell’altro, evidentemente …
Ma torniamo al punto.
Ora è chiaro che lo “stato d’eccezione” (Schmitt) è una cosa e lo “stato d’emergenza” (Virilio) un’altra, e quest’ultimo non termina: è costante (Virilio). Diventa il nuovo “stato”, una “forma-stato” ben diversa dallo stato “liberale” così come dagli stati “autoritari” cosiddetti. All’epoca – gennaio del 2020, prima dell’esplosione della pandemia – personalmente vedevo il cammino davanti come una “inusitata” mescolanza tra le due forme (quella dello “stato d’eccezione” e quella dello “stato d’emergenza” cioè). La perennità dello “stato d’emergenza” lo trasforma nel “nuovo ordine”, il famoso “NWO”, “New World Order”, ecco cos’è, ben diverso, dunque, dalle sue versioni caricaturali di “destra” dove, di nuovo, si agita lo “spettro” (come nel Manifesto di Marx ed Engels, o come la “Spectre” dei racconti di James Bond!) del nazismo o neonazismo che sia, per “altri” fini, dove “ordine” va inteso in senso non dello stato liberale. Si tratta di “ordine” in “neolingua” (le parole stesse hanno alterato i loro significati).
La pandemia viene definita “guerra” per dominare lo “stato d’emergenza” cercando di farlo passare per “stato d’eccezione”, questo è quanto; ed è una guerra senza generali, al di là di Figliuolo o di altri.
In una parola: si va oltre – de facto – lo stato liberale, nei fatti e non nella teoria. Anzi, la teoria segue – col fiatone – questo cambiamento, andando a rispolverare vecchi rottami ideologici, tipo il “biopotere” di Foucault, uno che è rimasto al “panottico”, che già Baudrillard criticava: cf. “La fine del panottico”, in J. BAUDRILLARD, Simulacri e impostura: bestie, Beaubourg, apparenze e altri oggetti, Cappelli editore, Bologna 1980, p. 76, corsivi in originale. Se alcune delle considerazioni sono datate all’epoca in cui furono scritte (se il libro in Italia è del 1980, lo scritto francese originale è del 1978, “l’anno dei tre papi”, e l’anno de All’ombra delle maggioranze silenziose o la morte del sociale), non è datato invece il senso generale: la fine di un modello di gestione del “potere” politico, sostituito (il modello) dall’ “iperrealismo” e dal simulacro del modello che “duplica” la “cosa”, la cui “realtà” sparisce nell’autoreferenzialità del modello stesso. Per cui un modello ne implica un altro, e sparisce il “referente materiale” come categoria, che non vuol dire sparisca la materialità, ma essa viene crescentemente inglobata da un sistema che tende solo alla sua replicazione, come un virus. Uno stato del tutto diverso del mondo e della gestione del “potere”, e non previsto da Marx.
Si conferma così la vera eccezione di oggi: che è la mistura fra “stato d’eccezione” vecchio style – cioè con la “presa di potere” da parte di un gruppo specifico **interno** allo stato – e “stato d’emergenza”, che è la “situazione eccezionale” (ad esser “eccezione” non è lo “stato”, in tal caso, ma lo è la situazione). Ed è davvero “eccezionale” tutto ciò, nel senso che, nella storia, non l’abbiamo mai visto: infatti o si segue il modello “stato d’eccezione” o quello “stato d’emergenza”, magari passando dal secondo al primo – nulla lo vieta – però mantenendone intatte le differenze. Oggi è difficile distinguerli, de facto. Trattasi di fatto cioè, una “situazione”, non teoria, un fait accompli. Qualcosa emerge – un’ “emergenza”, per l’appunto – e ti pone di fronte ad una situazione, cui non puoi dir di no: e tu che corri dietro ad essa senza mai davvero venirne a capo, questa è la “politica” di oggi, altro che “progetti”!
La “presa di potere” avviene, dunque, ma non a favore d’un gruppo statale, quanto invece di gruppi sovra statali – questa la “via d’uscita” –, una via d’uscita che, tuttavia, non fa che accentuare quanto già iniziato negli anni Settanta, quando le prime forme sovra nazionali cominciarono a divenir effettivamente potenti.
Andrea A. Ianniello
(*) Cf.
Questo invece non è stato molto visualizzato.
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