UNA BREVE RIFLESSIONE SUL
CONVEGNO
PER IL NOVECENTENARIO DELLA
DIOCESI DI CASERTA.
In particolare, sulla
Relazione di
F. Cardini.
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Introduzione.
UN INTERESSANTE CONVEGNO
Si
è svolto a Caserta, il
26 novembre del 2013, un importante Convegno sul Novecentenario della
Diocesi di Caserta, che ha fatto anche un po’ “il punto”
degli studi su questo tema. Per l’esattezza, son trascorsi, nel
2013, novecento anni dalla Bolla di Senne, o Sennete1.
Le ragioni di tale Convegno sono state improntate alla relazione fra
identità e continuità.
In
effetti, che vi fosse una Bolla nel 113, nota da trascrizioni
successive, dimostra che, tuttavia, vi erano già delle più
antiche realtà ecclesiali sul territorio, ed è
questione ancor oggi dibattuta se e quanto la Diocesi di Caserta sia
da ricollegarsi a quella di Calatia, o “Galatia”, come si
dice, con un probabile “longobardismo” (passaggio della
consonante iniziale “k”
a “g
‘dura’”).
Seppur diminuita di capacità di convincimento, la tesi di una
relazione fra la passata, e scomparsa, Diocesi di Calatia/Galatia
sembra comunque ancora in certa misura presente negli studi2.
Come
che stiano le cose, dal mio punto di vista, per quanto interessante
sia stata la “messa a punto”, non vedo novità
rispetto al Dizionario
Storico delle Diocesi della Campania,
del 2010, dove, alla voce Caserta3,
si attesta l’origine normanna della Diocesi di Caserta stessa.
Proprio
nelle parti iniziali del Convegno, vi è stata la relazione,
quasi una lectio magistralis, di Franco Cardini, che,
al di là del tema in esame, pur tuttavia riprendendo da esso
spunto, è stata una sorta di riflessione sulla storia, in
particolare sui rapporti fra storia “generale” e storia
locale. Proprio su tale allocuzione di Cardini, a mio avviso,
occorrerebbe riflettere un poco più attentamente.
LA RELAZIONE DI F. CARDINI
Cardini
svolge un quadro molto vasto della storia del periodo normanno cui,
se non proprio prende origine, sicuramente molto deve, la Diocesi di
Caserta. La storia normanna, poi, puntualizza Cardini, non ha nessun
senso fuori dallo studio dei pellegrinaggi e, soprattutto, delle
Crociate, che portarono i Normanni nel Sud Italia4.
Un
altro punto, non sviluppato ma sottolineato nella relazione, è
il legame fra Diocesi, e loro sviluppo, con le dinamiche delle città
campane nell’Alto Medioevo, tutto un capitolo per eventuali
sviluppi ed approfondimenti vari.
Detto
tutto ciò, Cardini prende a sviluppare il suo intervento, che
è una vera e propria riflessione sulla storia e sulla
metodologia storica.
La
storia è sostanzialmente una disciplina scientifica moderna.
Ma, nonostante quel che spesso, troppo spesso si tende a pensare, il
legame fra questa disciplina storia e la politica è molto
stretto, anche nei tempi moderni, per quanto quasi sempre velato o
filtrato dai limiti imposti dal metodo scientifico e dalle sue
regole. Cardini si spinge a dire che l’attuale tendenza a
trascurare la storia – personalmente parlerei quasi di “una
eclisse” della storia – non sia null’altro
se non il riflesso della scarsa forza politica e sociale del mondo
attuale.
Pertanto
dietro all’Esperti, che riporta la Bolla di Senne, chi
vi era se non Carlo III di Borbone – domanda retorica -, nessun
dubbio al riguardo. Nessuno storico scrive o ricerca o discute nel
vuoto spinto.
La
storia è fatta sia d’ipotesi che di tesi vere e proprie.
Le due facce son complementari fra di loro. Ed allora l’obiettività
storica è un fatto inattingibile storicamente, piuttosto è
una meta cui sempre tendere, ben sapendo che non la si raggiungerà
mai pienamente. In tal senso, che piaccia o meno, la storia è
una sorta di revisione continua. Per cui, oltre alle tematiche pur
verissime di continuità ed identità storiche, Cardini
inserisce il cambiamento,
fuori da “ideologismi e retoriche”. In tal senso, con F.
Braudel, Cardini sottolinea come l’esplosione della contingenza
s’inserisca nella
tematica, pur verissima, della “lunga durata” ed
inevitabilmente, dialetticamente, aggiungerei, la modifica. Per fare
un esempio, e venendo alle epoche del Convegno, se il VI-VII secolo
fu caratterizzato da gravi problemi demografici nell’VIII si
verificò una ripresa, in relazione ad un cambiamento
climatico. In modo crescente, infatti, si sta prendendo coscienza di
quanto i cambiamenti climatici incidano sulla e nella storia. Ma
anche una tale accresciuta consapevolezza è un prodotto
storico, il prodotto storica della nostra epoca d’instabilità
climatica; in altri periodi storici, dal clima ben più
stabile, si tendeva a considerare questa variabile come un fatto
secondario. La storia, diciamocelo chiaro – e fuori dalla
relazione di Cardini – non eccede se stessa, ma invece si
implica logicamente: le categorie per mezzo delle quali si “misura”
la storia sono anch’esse storiche! Il che ha, senza dubbio, la
netta apparenza di un paradosso, del quale pur viviamo
quotidianamente: infatti, se il denaro è “la misura del
valore di tutte le cose”, che cos’ che misura il denaro?
Il denaro stesso, il cui stesso valore fluttua. Sarebbe come misurare
un oggetto con un metro la cui lunghezza cambia, il che è pur
vero: la barretta di metallo che l’1 metro si espande o
contrae, ma in modo minimo, le fluttuazioni del valore del denaro –
il “misuratore” di tutte le cose ormai da qualche secolo
– son ben più ampie.
Venendo
sempre alle condizioni che, tra la fine del Primo Millennio cristiano
e l’inizio del Secondo Millennio cristiano, quello che ha dato
vita ed inizio alla Diocesi di Caserta, secondo il quadro più
accreditato – Secondo Millennio che ormai è terminato
già da quattordici anni -, Cardini ricorda l’importante
figura di Cassiodoro, per sottolineare quel che si potrebbe chiamare
la “dittatura latifondista sul Cristianesimo”.
Insomma,
in questo continuo passare tra riflessioni metodologiche di ordine
generale e casi storici concreti, tessitura che costituisce l’ordito
e la trama della relazione di Cardini, il messaggio di fondo è
questo: la storia è continuità nel mutamento. La
vera difficoltà della storia e del suo studio – e dello
storico che la pratica – è precisamente cogliere questa
relazione di continuità nel mutamento. Si dirà: ed
ovviamente la difficoltà è anche quella di cogliere il
mutamento nella continuità. Vi è una parte di verità
in tutto ciò, e tuttavia è più facile, più
facile cogliere il mutamento nella continuità che, come invece
suggerisce Cardini, l’inverso, ovvero la continuità nel
mutamento.
Cogliere
quest’ultimo “geroglifico del senso” rivelerebbe la
cifra nascosta in ogni epoca.
L’epoca
è la “fluttuazione del valore della moneta” nel
paragone che si è fatto proprio qui sopra.
Le
rivoluzioni, puntualizza Cardini, si pongono in evidente
discontinuità; e tuttavia, si scoprono, sotto le loro
apparenze, poderose forze storiche che mantengono la continuità.
Le
rotture di “faglia storica” le si vede con molta più
facilità, e tuttavia non sono quelle rotture definitive che
vanno dicendo di se stesse, ma, al contrario, mantengono la
continuità.
Se
dunque noi studiamo il Primo Millennio, dalle nostre parti, ci
accorgeremo della compresenza forte di elementi latini e greci, ma
questi ultimi, quelli greci, paiono aver avuto una grande influenza
sui Longobardi meridionali, per esempio, rendendoli ben diversi da
quelli settentrionali, Longobardi che, comunque, hanno segnato
profondamente il Sud non meno che il Nord Italia.
In
quest’ambito di considerazioni ed in questa visione
metodologica della storia, si chiede Cardini che cos’è
la Diocesi di Caserta. Al di là del fatto se sia davvero
collegata direttamente a Calatia/Galatia o non, in ogni caso e
comunque, la Diocesi di Caserta è frutto di uno spostamento
diocesano, come interessi, come struttura di fondo; e tale spostamento
non avrebbe senso se non nell’epoca normanna. E qui Cardini
ritorna al suo tema favorito, i pellegrinaggi e le Crociate, in cui
l’elemento normanno è stato decisivo, lui,
studioso di Boemondo principe di Taranto, che andò nelle
Crociate. La storia normanna va necessariamente vista nel
Mediterraneo, e non si può ben intendere se non in un
contesto inevitabilmente più vasto, e cioè
mediterraneo. Il che, a sua volta, riporta il tutto nel quadro della
Riforma che operò Gregorio VII, e che nacque a Cluny. Rimane
da citarsi, solo en passant purtroppo, il tema del
perché la Chiesa scelse l’elemento normanno come
referente, al di là della visione ottoniano-imperiale allora
in auge. La Riforma gregoriana in Italia, in particolare meridionale,
non fu cluniacense, ma ebbe come punti di partenza Montecassino e
Cava de’ Tirreni: le grandi Abbazie insomma. La loro egemonia
sui vescovi casertani è chiara ed evidente.
In
effetti, anche da altre fonti, è chiarissimo che è
stata l’epoca normanna a costituire una cesura forte per il
Sud, la sua entrata, vera e piena, nel Medioevo. Infatti, non a caso
“in epoca normanna si verifica la stabilizzazione degli
insediamenti fortificati che frammentano gli intorni territoriali di
derivazione romana, mantenuti
dai Longobardi [corsivi
miei]”5.
Ancora: “Dall’XI secolo i Longobardi sono sostituiti dai
Normanni che fondano una nuova città, Aversa, posta fra i
territori bizantini di Napoli e quelli longobardi di Capua, riuscendo
a poco a poco a conquistare la Campania, l’Italia meridionale e
la Sicilia, formando così un grande Regno unitario. I Normanni
son quelli che rivoluzionano l’assetto territoriale realizzato
dai Romani introducendo il sistema feudale”6.
Ricordiamo,
insomma, che il Meridione, il Regno dell’Italia del Sud è
stato formato dai Normanni, poiché il Sud era una sopra di
“zona di frontiera” fra Longobardi e Bizantini, e fra
questi due ed il mondo islamico nord-africano che premeva da Sud. In
effetti., questa farraginosità è rimasta come la base
di fondo su cui l’elemento normanno ha costruito un’unità
che ha “fotografato” il Sud come tale7.
In
quest’ambito di considerazioni, si deve sottolineare un ultimo
mutamento; dalle Pievi agli archi presbiterali, come dice Cardini. Il
tutto nel quadro della Riforma gregoriana che cambiò il regime
delle Relationes Decimarum, il regime delle decime,
fondamentale per la Chiesa medioevale.
In
quest’epoca, anche in seguito, o almeno in parallelo alla
Riforma gregoriana ed alla riforma delle Relationes Decimarum,
si verifica un fatto epocale, e cioè il ritorno dell’Occidente
all’oro come base della valuta, come nell’Impero Romano.
Si dovrebbe riflettere sulle relazioni fra Occidente e base aurea: ha
segnato tutte le fasi espansive della economia occidentale, tant’è
che la fine della parità aurea è coincisa con l’eclissi
della centralità economica europea, ed oggi si sentono voci
verso un ritorno, in forme differenti, a tale relazione con l’oro.
La borghesia ed il suo dominio sono nati nel Medioevo, ed è in
quell’epoca che si ponevano le basi della forza del denaro, che
poi, nel corso della storia, è divenuta sempre più
autonoma da ogni altra istanza superiore.
Cardini
termina ricordando la lezione di Delio Cantimori, per il quale non
esisteva quella frattura fra “grande storia” e storia
“solo” locale, ma, piuttosto, fra storia ben fatta o mal
fatta, dove per “ben fatta” s’intende quella storia
che propone ipotesi ragionevoli e verificabili mentre quella fatta
male non è in grado di costruire tali ipotesi verificabili.
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1Bulla
Sennetis,
Episcopus Casertanus; trascrizioni: Michele Monaco 1630, Crescenzo
Esperti 1775, il quale Esperti fa riferimento ad Ughetti all’inizio
del XVIII. E’ piuttosto interessante sottolineare come, nella
Bolla,
si citino ben 133 chiese.
2Tesi
che, poi, è quella divenuta comune dopo il XIX secolo, cf.
Diocesi di Caserta, Cronologia
dei vescovi casertani,
Società di Storia Patria di Terra di Lavoro, Napoli 1984 (per
l’esattezza si legge al termine del volume: “Finito di
stampare nel mese di marzo MCMLXXXIV nello stabilimento ‘Arte
Tipografica di A. R.’ S. Biagio dei Librai – Napoli”).
In particolare, si dà per certa l’origine della Diocesi
di Calatia/Galatia da “S. Augusto – africano –
(439-477?)” (ibid., p. 9). Poi l’origine sostanzialmente
tarda ed ottocentesca sta nel fatto che S. Augusto sia sempre stato
percepito come un nero di pelle, in base a quell’equazione,
falsa, che vuole che tutti glia africani siano di pelle scura, cosa
peraltro molto improbabile riguardo a S. Augusto stesso. Ricordo
quelle teorie che vogliono Gesù Cristo scuro di pelle, sempre
in base ad un’equazione, antropologicamente del tutto
arbitraria, fra mediorientali e neri. Né i nordafricani,
almeno la gran parte di essi, né i medio orientali sono
appartenenti alla “etnia” nera. Tra l’altro, un
uomo della fine dell’Impero romano queste cose le avrebbe
conosciute benissimo.
3Cf.
AA.VV., Dizionario
Storico delle Diocesi della Campania,
L’Epos Società Editrice, Palermo 2010, voce Caserta,
pp. 256-280.
4Cf.
F. Cardini, I
Normanni e le Crociate,
in Centro Studi Normanni di Ariano Irpino, I
Normanni. Popolo d’Europa 1030-1200,
Catalogo della Mostra del 1994 (vent’anni fa) a Roma, a cura
di Mario D’Onofrio, Marsilio editore, Venezia 1994, pp.
356-362. Questo catalogo è molto importante, contiene anche
uno scritto di E. Cuozzo, L’organizzazione
socio-politica, in
ibid., pp. 177-182. Utilissimo e davvero molto importante il
contributo di O. Zecchino, Le
Assise di Ariano,
in ibid., pp. 183-187. Per finire, l’ultimo contributo, che
pone il problema di una “identità normanna (o meglio
ancora, ‘normanda’)
europea”, che non è patrimonio di nessuno, né
dell’Inghilterra, né della Francia, né
dell’Italia meridionale, di Jean-Yves Marin, La
coscienza normanna oggi,
ibid., pp. 371-373, considerazioni di venti anni fa, però
invero attualissime, di fronte alla pericolosissima “deriva”
di una Europa concentrata, e direi arroccata, nel centro-Europa
tedesco, con il resto d’Europa, dall’Irlanda alla
Grecia, ivi compresa l’Italia, ridotta ad una sorta di
“periferia”, con la Francia, che s’illudeva di far
parte del centro decisionale, ridotta ad essere il “primus
inter pares”
dei secondari. Esiste
o può esistere un’Europa “normanda” o
“normandizzante”? Può darsi che quest’asse
possa costituire una sorta di bilanciamento rispetto allo strapotere
di un’Europa centrale troppo forte? Temi che travalicano
amplissimamente quest’articolo. Ma vorrei ricordare poche
parole di Marin: “L’idea è semplice e sappiamo
che è condivisa in Scandinavia, in Inghilterra ed
evidentemente in Italia forse sarebbe più corretto dire, alla
luce del ventennio passato: era
condivisa; nota mia]: fare
della memoria che ci accomuna un asse portante su cui innestare
sinergie di studio e di ricerca e attraverso cui percorrere le nuove
esperienze umane, artistiche e culturali in genere. Come è
ormai stato appurato, nessuno può rivendicare priorità
assolute sulla civiltà normanna dei secoli XI e XII; questo
patrimonio del passato è indivisibile e
proprio in ciò
risiede la sua forza
e la sua peculiarità”
(ibid., p. 273, corsivi
miei).
5Rosa
Carafa, Il sistema
policentrico casertano,
in Provincia di Caserta, Il
Piano di sviluppo socio-economico e Premessa del Piano territoriale
di coordinamento della Provincia di Caserta,
Tipografia DEPIGRAF, Caserta 2003, p. 67. Naturalmente, visto questo
scritto di dieci anni fa (ormai undici) e le realizzazioni pratiche:
che distanza vi è fra i cumuli di carta delle organizzazioni
politiche e le realizzazioni concrete, una distanza divenuta
abissale nell’ultimo decennio. In ogni caso, lo scritto della
Carafa fa, in breve, un sunto della situazione storica delle
Provincia.
6Ibid.,
p. 66.
7“Potrebbe
applicarsi ai Normanni dell’Italia meridionale ciò che
si disse dei Romani rispetto ai Greci, cioè che i
conquistatori furono vinti dallo stesso popolo assoggettato. In
realtà, i rudi guerrieri nordici furono presi d’ammirazione
per la cultura arabo-bizantina e per i grandi monumenti del passato
greco e romano che la Sicilia e l’Italia meridionale a quei
tempi presentavano in grande copia. D’altra parte, tutte le
regioni conquistate dai Normanni furono dapprima ostili e quindi
ammirate dalla loro accortezza politica e militare e si lasciarono
governare con fiducia. […] La monarchia dei Normanni fu di
tipo feudale [cosa verissima, ma gli studi di Cuozzo e Zecchino,
citati prima in nota, pongono dei limiti a quest’affermazione
che rimane vera, ma con molti “aggiustamenti di tiro” da
farsi; nota mia], […] ma una larga tolleranza, un
intelligente spirito di conciliazione e la più ampia
utilizzazione degli elementi più vivi dei diversi paesi,
consentirono di creare in Italia meridionale – come in
Inghilterra e in Francia [e qui possiamo tornare a quanto detto, e
citato in nota, prima, da J.-Y. Morin; nota mia] – un grande
periodo di prosperità politica, civile ed economica, quale
gli antichi predoni del mare non erano riusciti ad erigere in altri
paesi europei da loro conquistati. Dalla
conquista normanna derivò per il Mezzogiorno d’Italia
una unità storica intramontabile”
(R. Bosi, I
miti dei Vichinghi. Storia e tradizioni degli uomini del Nord,
Convivio/Nardini editore, Firenze 1993, pp. 47-48, corsivi miei).
Soprattutto l’ultima frase, posta in corsivo, dovrebbe, al di
là di questioni storiche, essere profondamente meditata.
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BIBLIOGRAFIA
AA.
VV., Dizionario storico delle Diocesi della Campania,
L’Epos Società Editrice, Palermo 2010.
Roberto
Bosi, I miti dei Vichinghi. Storia e tradizioni degli
uomini del Nord, Convivio/Nardini editore, Firenze 1993.
Rosa
Carafa, Il sistema policentrico casertano, in:
Provincia di Caserta,
Il Piano di sviluppo socio-economico e Premessa del Piano
territoriale di coordinamento della Provincia di Caserta,
Tipografia DEPIGRAF, Caserta 2003.
Franco
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Normanni di Ariano Irpino, I Normanni. Popolo d’Europa
1030-1200, Catalogo della Mostra del 1994 (vent’anni fa) a
Roma, a cura di Mario D’Onofrio, Marsilio editore, Venezia
1994.
Errico
Cuozzo, L’organizzazione socio-politica, in
Centro Studi Normanni di Ariano Irpino, I Normanni. Popolo
d’Europa 1030-1200, Catalogo della Mostra del 1994 a Roma,
a cura di Mario D’Onofrio, Marsilio editore, Venezia 1994.
Diocesi
di Caserta, Cronologia dei vescovi casertani, Società
di Storia Patria di Terra di Lavoro, Napoli 1984.
Jean-Yves
Marin, La coscienza normanna oggi, in Centro Studi
Normanni di Ariano Irpino, I Normanni. Popolo d’Europa
1030-1200, Catalogo della Mostra del 1994 a Roma, a cura di Mario
D’Onofrio, Marsilio editore, Venezia 1994.
Ortensio
Zecchino, Le Assisi di Ariano, in Centro Studi Normanni
di Ariano Irpino, I Normanni. Popolo d’Europa 1030-1200,
Catalogo della Mostra del 1994 a Roma, a cura di Mario D’Onofrio,
Marsilio editore, Venezia 1994.
[A. Ianniello]
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