sabato 12 luglio 2014

Il “Giorno del Signore” - e **I 144.000** -: “spulciando” fra tre testi di noti esegeti (Biguzzi, Tripaldi, Grasso)

L’interpretazione del “Giorno del Signore” (Ap. 1, vs. 9) come della domenica, è ampiamente riduttiva, ma diffusissima tra gli interpreti.

Ho controllato i seguenti tre testi: G. Biguzzi, Gli splendori di Patmos. Commento breve all’Apocalisse, Paoline Editoriale Libri, Milano 2007; Apocalisse di Giovanni, Introduzione, traduzione e commento di D. Tripaldi, Carocci editore, Roma 2012; Tripaldi, pur essendo autore di una buona traduzione, davvero letterale, del testo, segue sostanzialmente Biguzzi; infine, last but not least, S. Grasso, Apocalisse, Città Nuova Editrice, Roma 2011. Riguardo al primo problema, quello del “Giorno del Signore”, tutti interpretano la locuzione “kyriakè êmèra” come afferente alla domenica, che è un “rimpicciolimento” palese, sul quale non mi diffondo perché chiaro ed evidente.

Le altre due interpretazioni sono: il Giorno di Pasqua, altamente possibile – il che aprirebbe all’interpretazione dell’ Apocalisse di Giovanni come di una sorta di “liturgia” cosmica – e poi l’interpretazione di detto “Giorno” (“êmèra”) come del Giorno del Giudizio, anch’essa possibile.

Sulla incompatibilità fra il Giovanni del Vangelo e quello dell’ Apocalisse, non mi diffondo perché, per chi ha letto il testo greco, molto sgrammaticato rispetto al bel greco (anche se della koinè) del Vangelo secondo Giovanni, la cosa risulta semplicemente chiara ed evidente. Il Vangelo secondo Giovanni è anche bello a leggersi in lingua originale, il greco dell’ Apocalisse, invece, è davvero ostico pur essendo ambedue greco della koinè, dunque pieno di “semitismi”, argomentano gli studiosi.


Passiamo al secondo problema, quello dei 144.000. 
 
Veniamo a Biguzzi (sempre il testo qui sopra citato, lo stesso dicasi per Tripaldi e per Grasso): per lui sono, indeterminatamente, i “cristiani”, e, in relazione ad Ap. 14,1-5, quelli che “non si sono maculati di idolatria”, il “sommo” peccato, dunque non il non aver carità, paolinamente ma l’idolatria, e siamo in pieno Antico Testamento.

Biguzzi apre qua e là all’idea che i 12 al quadrato per mille siano un gruppo speciale all’interno comunque dei cristiani, cristiani giudaizzanti, come abbiam visto però, ma non v’insiste in particolare.

In linea generale, Biguzzi dà poca importanza ai numeri, in linea conla sua esegesi minimizzante.


Biguzzi non afferma esplicitamente la “differenza qualitativa” dei 144.000, salvo un accenno, dove per lui tutti i “credenti” vanno al di là dei famosi simbolici dodici al quadrato per mille, che sono un gruppo all’interno. Si tratta di una cosa da lui accennata solo “en passant” nel suo Commento.

E lo stesso è solo un cenno fugace nel suo libro al passo Ap. 7, 4-8 dice che i 144.000 sono i credenti in gesù, punto e basta.

Al passo di commento di Ap. 14, 3-4 invece lascia intendere che i 144.000 abbiano un qualifica in più, ma niente di più di questi accenni.


Allora ho avuto modo di controllare anche D. Tripaldi, poco tempo, ma è bastato: ha **esattamente** la stessa posizione di Biguzzi, al cap. 7, ed anche al commento cap. 14 la pensa come Biguzzi; tra l’altro, Tripaldi cita, in Bibliografia, tutti i libri di Biguzzi.

Quindi nulla di nuovo. Nihil sub sole novum.


Dunque veniamo, “dulcis in fundo”, a Santi Grasso. Si è visto che Grasso stesso “glissa” sulla questio del “Dì del Signore” (“kyriakè êmèra”), ma sui 12 al quadrato per milla non lo fa. A testimonianza di un esegeta “puro”, che ama confrontarsi col testo tout court, senz’ambagi né giochi di parole.

Dopo aver chiarito che la numerologia nell’ “Ap.” de Giovanni è qualitativa e non quantitativa, Grasso esamina la questione (il cap. VII), cui dedica tutto un capitoletto (pp. 88-93).

In particolare le pp. 92-93, e **riconosce** che il gruppo dei 144.000 è un gruppo privilegiato.

Esso dunque non può in alcun modo essere equiparato ai “credenti” semplici o ai cristiani senza nessun’altra qualificazione aggiuntiva.

Scopo vero della storia – nell’ Apocalisse è quello di “accumulare” questi 144.000: quando saranno compiuti (terminati, raccolti tutti), la storia terminerà.

Riprende il concetto nell’esaminare il cap. XIV, commentato dalla p. 144 alla p. 151.

A p. 144, manco a farlo apposta...., ribadisce che è un gruppo “speciale”, “eletto”, “scelto” cioè.

A p. 145 sottolinea che sono “vergini”, e dice a chiare parole che l’ottica è quella maschilistica, si direbbe oggi, ebraica del tempo.

Più volte, infatti, Grasso ha sottolineato gli aspetti veterotestamentari, senz’alcun dubbio presenti nell’ “Ap.” di Giovanni.

A p. 146 Grasso cita sia delle scritture di Qumràn, sia il “Documento di Damasco” della Genizah cairota, e sia il “Libro di Henoch”, evidentemente ben noto all’autore dell’ “Ap.”, a proposito del fatto che, mentre i 144.000 “élite” si ”astengono da donna”, gli angeli “caduti” di Henoch (e di Gen. 6) invece non l’hanno fatto.

Per riassumere: per Grasso i 144.000 sono un gruppo speciale, non sono meramente i credenti, che son la moltuitudine indeterminata, la quale riconosce che nella storia vi è un fine divino.

Ma questi ultimi – che riconoscono che c’è un “fine divino”, che non conosconono - **non sono** i compagni dell’Agnello né stanno al cospetto di Dio.

Importante differenza, che nota chiunque legga l’ “Ap.” di G. senza paraocchi o pregiudizi.

2 commenti:

  1. "Ma questi ultimi – che riconoscono che c’è un “fine divino”, che non conosconono - **non sono** i compagni dell’Agnello né stanno al cospetto di Dio."
    Intendi dire che i 144.000 di Ap 7 sono diversi dai 144.000 di Ap 14, oppure che il passo di Ap 14 si riferisce a "processo compiuto", e che quindi durante la fase di "accumulo" questi non saranno al cospetto di Dio (cosa effettivamente chiara)?

    L'"accumulo" dei 144.000 come è collegato alle sfide di questo tempo? Mi sembrerebbe qualcosa di particolarmente centrale.

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  2. Al punto 1, evidentemente parliamo della fase di “accumulo” e, dunque, al momento i **symbolici** - simbolici … - “144.000”, non son “ancora”, per quel che possiamo dirne **ora**, “al cospetto” del’Altissimo.
    Ma pure l’altra interpretazione “non è campata per aria”, come suol dirsi, anche se meno basata sul testo, per lo meno apparentemente (l’ “Ap.” di G. è un testo complesso e scritto in un **pessimo** greco della “koinè”, pieno di “semitismi”; molti interpreti attribuiscono il “Vangelo secondo Giovanni” effettivamente a Giovanni, ma **non** l’ “Apocalisse di Giovanni”, per causa del buon, bel greco del “Vangelo secondo Giovanni” e del pessimo greco dell’ “Apocalisse di Giovanni”; essi dicono: o uno ha scritto l’uno, o ha scritto l’altro, la stessa persona non può scrivere in maniere così opposte, questo essi van sostenendo).


    Al punto 2, che invece è **decisivo** e ci riguarda direttamente, perché l’altro punto si riferisce a realtà “dell’ ‘altro’ mondo”, e dunque è ammissibile una certa “indeterminatezza”, e una diversità di vedute tra i vari interpretati è **più** che normale, a quest’importante punto si può rispondere che si ricollega al fatto del “tempo che verrà abbreviato grazie agli ‘eletti’”, di cui si dice in “Mt.” cap. 24, vs. 22 “E se quei giorni non fossero abbreviati, nessun vivente si salverebbe; ma a causa degli eletti quei giorni saranno abbreviati”.





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